Autore: EscaMontage

EscaMontage Associazione Culturale è stata fondata nel 2012 e da allora collabora attivamente con varie personalità del mondo della letteratura, della poesia e del cinema. Ospite in diverse manifestazioni tra le quali: l’Isola del Cinema di Roma a cura di Giorgio Ginori, il MACRO ASILO di Roma, cornici di eventi culturali nella Capitale e internazionali. Da sempre realtà impegnata a diffondere l’arte e la cultura, nel 2015 fonda la casa editrice omonima all’associazione. Ad oggi il catalogo ha al suo attivo collane di poesia, di narrativa e antologie. Inoltre si occupa di produzioni video, reportage, cortometraggi, book-trailer, documentari. Tra i video realizzati anche il tutorial del gioco poetico #LaPoesiaMisteriosa con la partecipazione amichevole di Antonio Catania. Ha organizzato per diversi anni il Festival Itinerante con il patrocinio dell’Assessorato alla cultura di Roma Capitale, un incontro tra arte, poesia, musica e film, dedicando una sezione ai cortometraggi fin dalla prima edizione è stato ospite di importanti manifestazioni tra le quali: Il Director Lounge di Berlino a cura di Julia Murakami e l’Amarcort Film Festival. Nel 2015 nella splendida cornice dell'isola del Cinema, in conclusione del concorso di cortometraggi, consegna il Premio alla carriera al regista Luigi Sardiello. Tra le diverse collaborazioni con un team di professionisti, ha realizzato i video_incontri " Un altro sguardo" per l'associazione Fuori Le Ali a cura di Marta Rizzo, Serafino Murri e Silvia Scola , presso il Liceo Scientifico "A.Righi" di Roma. Canale Youtube Fuori Le Ali https://www.youtube.com/channel/UCpQ8z5yRt0oMroX_IbFDHBg EscaMontage in collaborazione con realtà culturali e piattaforme mediatiche tra le quali Il Parere dell’Ingegnere, Neobar, Cineclandestino, Close- up, CylinderPress Canale youtube di EscaMontage https://www.youtube.com/escamontage Pagina Facebook https://www.facebook.com/PoesiaMusicaCinemaArte/?ref=page_internal Linkopedia: Incontro al MACRO ASILO di Roma 28/12/2019 https://www.romacheap.it/arte/35794/incontro-al-macro-asilo.html https://gramho.com/explore-hashtag/escamontage https://wopita.com/tag/escamontage EscaMontage a Corto http://www.italiastampa.it/escamontage-quando-larte-viaggia-con-passione-e-professionalita/ http://www.italiastampa.it/escamontage-a-corto-arte-e-cultura-allisola-del-cinema-di-roma/ http://www.vocespettacolo.com/escamontage-film-festival-itinerante-sbarca-allisola-del-cinema-di-roma/ http://www.close-up.it/roma-31-ottobre-fellinhalloween-con-escamontage-a-ingresso-libero FellinHalloween Info e contatti: escamontage.escamontage@gmail.com

Festa al Libro e Micro Mostra Temporanea

Festa al libro senza il libro e Micro mostra temporanea a fasce di età al Senior Jag l’8 maggio 2024 dalle 16:30
fino all’alba del giorno dopo. A cura di Iolanda La Carrubba. Via Cupra 33 (Rm). Ingresso libero

Cosa aspettarsi? Semplicemente l’inaspettato!

Accadrà in ordine rigorosamente sparso

Inaugurazione MicroMostra temporanea con le opere di Mario La Carrubba e Lina Morici con intervento degli artisti dalle 16:30 alle 18

Letture tratte da

LA VITA FINCHE’ RESTA Giovanni Rossi prefazione Antonio Veneziani (ed. Ensemble)

DIARIO DELL’APPRODO Fernando Della Posta prefazione Davide Toffoli (ed. Arcipelago Itaca)

RACCOLTA INDIFFERENZIATA Iolanda La Carrubba postfazione Sacha Piersanti nota in quarta di copertina Ilaria Palomba (ed. Ensemble)

Presenti gli autori in rappresentanza anche degli editori

#psicopoesia con i componimenti di Antonio Veneziani e improvvisazione in acustica di Imok (Matteo Di Gianberardino)

Ospiti in musica
Amedeo Morrone
Alessandro Salvioli

Ospiti in poesia
Goffredo Muratgia, Asupta Gabriella Greco, Davide Cortese, Alessandro Perrotta, Olivia Balzar, Simone Carunchio, Katia Picciariello, Edoardo Bromuro e gran finale con Giovan Bartolo Botta che presenterà Norimberga di Poesia

Ospiti in performance
Antonio Amendola
Marco Olivieri and Friends in J233
e al calar delle tenebre potrebbe manifestarsi Marcho Gronge che più Gronge non si può

Vi aspettiamo ingresso libero
o sottoscrizione a vostro buon cuore

Lina Morici

Lina Morici nata il 16 agosto 1944 a Roma, dopo una lunga esperienza da ceramista inizia a lavorare ad olio fin dai primi anni ‘60 grazie al suo compagno di vita ed arte Mario La Carrubba. Ha partecipato a numerose collettive, rassegne d’arte e personali tra le quali; Centro d’arte La Bussola Cosenza 1975, Lavatoio Contumaciale a cura di Tomaso Binga Roma 2009, Mostra Internazionale di Arte Naif a Gualdo Tadino 2017. Nella sua pittura ad olio definita “naif raffinata” il tratto assume uno spessore fiabesco e carico di senso e colore. Del suo lavoro tra gli altri si sono interessati; Giorgio Di Genova, Enzo Le Pera, Renzo Marginali, Duccio Trombadori, Maurizio Vitiello. Sue opere sono in esposizione in alcuni musei tra i quali; Museo d’arte delle generazioni italiane del ‘900 Pieve di Cento, Académie Vitti di Atina. Nel 2022 rilascia un’intervista, insieme al marito per la rassegna d’arte Incroci Mediterranei a cura di Maurizio Vitiello e Pino Cotarelli. Tra le pubblicazioni si ricorda Storia dell’Arte italiana del ‘900 a cura di Giorgio Di Genova. Illustra le copertine per le Edizioni EscaMontage.

Renzo Margonari dal Catalogo degli Artisti Lazio (UNEDI)

Di Lina Morici non c’importa tanto il fatto che appartenga alla schiera dei pittori naive italiani, quanto che, innanzitutto, sia pittrice vera, un’artista che, a dispetto della sua indifferenza per le regole tradizionali e l’assoluta mancanza d’impartizioni formali accademiche, si manifesta in chiave di buona pittura, di buon mestiere, di chiara vena poetica, di fluida emotività. Un discorso che si richiama alla qualità pittorica formulata sugli esiti di una naif può sembrare contradditorio: infatti vi sono artisti naive del tutto privi di qualità pittoriche pur risultando dei grandi poeti per l’intensità delle emozioni espresse, ma non mi pare giusto rinunciare a sottolineare che Lina Morici ha un concetto preciso dell’artigianalità del mestiere di pittore, il che mostra ancora una volta la reale modestia con cui questi ingenui artisti si pongono al lavoro e con questa passione ricostruiscono i dettagli di un sogno di purezza e di pace. La fantasia di Lina Morici si realizza con questi colori pastello, con questi dolci accordi tonali, con questa pulizia di immagini per cui ci guida attraverso la riscoperta di così semplici idealità di vita che, corrotti dalla cannibalica corsa stressante per la sopravvivenza della barbarie spirituale, della crisi di valori morali, quasi ci vergogniamo ad ammettere di esser ancora capaci d’incanto di fronte alla pace agreste, alla quiete familiare, ancora capaci di gustare il sapore vero delle poche cose della vita per cui vale la pena di vivere.

Duccio Trombadori dal catalogo del XLVII PREMIO SULMONA

Lina Morici è un’artista originale che tesse con passione e tenacia espressiva la trama fitta di un immaginario ricavato da una poetica trasfigurazione delle cose viste: le sue ‘passeggiate cromatiche’ ci conducono per le vie e i parchi di una Roma vissuta e sognata, con il suo suburbio, le sue rovine a cielo aperto, gli incontri sentimentali per le vie trafficate e le grida entusiaste dei bimbi in mezzo al verde. Tutto è delicato e sognante, in questa pittura sapientemente ingenua di favole incantate, venate di malinconico lirismo, di cui non si vorrebbe mai vedere la fine.

Maurizio Vitiello dal catalogo del XLVIII PREMIO SULMONA

Lina Morici si rivolge a chiare identità iconiche che fanno scattare memorie sul fascino della Città Eterna, e non solo. Angoli, scorci, ambienti vengono memorizzati in pitture icastiche e volitive, quasi a non voler dimenticare il passato, che i tempi moderni cercano di cancellare e nel giusto canale della coscienza riesamina condensati storici. Sente Roma la caput mundi. La rivisita. I segni abbreviativi si confondono nelle svelte e pastose pennellate. Roma da indagare, descrivere, riprendere nelle scene urbane è un percorso per riagganciare identità latenti. Punta anche ad immaginarla. Le magiche visioni di Roma sono un confronto per lo spirito e raccontano l’anima della città-capitale. Memoria e contemporaneità si confondono, evadono; le sue visioni leggono un mito, di cui si ha ancora bisogno, forse.

Renzo Margonari dall’Antologia dei Naifs italiani (Casalino Editore)

[…] quale autrice di tavole incantate ho già avuto modo di presentare Lina Morici: la sua pittura di oggi non smentisce la persuasiva impressione che mi fece ieri. La Morici ha il temperamento del miniaturista, e la narrazione in genere paesaggi romani, avviluppati in un immaginario di memorie e digressioni – conduce dal dettaglio di un particolare ad uno scenario trasfigurato e fantasioso: come una “favola dipinta” dove l’elemento contemplativo sposa la leggerezza del sogno.

Giorgio Di Genova

[…] arricchisce angoli, anche storici della Capitale con una lussureggiante vegetazione dalle chiome di varia cromia […] Morici con la sua immaginazione trasforma in una scena tropicale il Giardino Zoologico, popolandolo di uccelli esotici, tigri, ma in una gabbia alla quale una scimmia è appesa in alto (Il mio zoo 1973), mentre un altro animale, nella fattispecie il serpente tentatore dell’Eden, scende attorcigliato all’albero sotto cui il primo uomo è seduto con il pomo in mano poco distante dalla prima donna che, ritta tra le felci, si sta specchiando (Adamo ed Eva, 1978).

1975 Cosenza Galleria d’arte La bussola
a cura di Maria Carbone
2009 Roma Lavatoio Contumaciale
presentazione di Tomaso Binga   
2009 Roma Associazione Terzo Millennio Passeggiate Romane
2014 Nettuno Forte Sangallo Dissonanze poetiche
2014 Roma Biblioteca Rispoli Incontri
presentazione di Roberto Biperno
2015 Roma Centro Culturale Gabriella Ferri
2015 Roma Ambasciata d’Egitto Culture a confronto
2019 Roma Museo D’Arte Il Mitreo Passeggiate Cromatiche
a cura di Iolanda La Carrubba con presentazione di Enzo Le Pera
2022 Roma Museo D’Arte Il Mitreo Bipersonale Percorsi con Mario La Carrubba
a cura di Iolanda La Carrubba con presentazione di Enzo Le Pera, Pino Chiovaro e Maurizio Vitiello

MUSEI

1975 Belgio Museo dell’Emigrazione dell’Arte Naif di Lussemburgo
L’emigrante  1979 Finale Emilia Museo del Pattinaggio
La ragazza sui pattini
1982 Roma Chiesa Sant’Isidoro
Sant’Isidoro
2016 Atina (FR) Museo Academie Vitti
Siesta sotto i ruderi
2018 Benevento Museo d’Arte Contemporanea StregArti
Fuochi fatui
2020 Sant’Oreste (RM) Museo Comunale di Palazzo Caccia
Felliniano Mondo
2024 Chiaravalle Centrale Museo di arte contemporanea

BIBLIOGRAFIA

Secondo repertorio delle Istituzioni pubbliche della ricerca dell’Arte italiana  Elio Mercuri  Ed. Del Carretto 1977
Catalogo degli Artisti del Lazio ed. UNEDI Vol. II 1978
Antologia dei Naif italiani Renzo Margonari Ed. Casalino 1979
Comanducci 2000
Catalogo delle collezioni permanenti. Vol. 7: Generazione anni Quaranta a cura di Giorgio Di Genova ed. Bora  2007
Percorsi d’arte in Italia  Rubbettino editore  2015
Percorsi d’arte in Italia  Rubbettino  editore  2017


LINKOPEDIA:

SAATCHI ART
https://www.saatchiart.com/art/Painting-La-porta-dei-Cieli/44044/1222572/view

Exibart comunicato stampa mostra Bipersonale
https://www.exibart.com/evento-arte/percorsi-antologica-di-mario-la-carrubba-e-lina-morici/

intervista a cura di Maurizio Vitiello
https://www.positanonews.it/2023/05/arte-contemporanea-breve-intervista-allartista-lina-morici-a-cura-di-maurizio-vitiello/3635766/

#acasadellartista a cura di Tartaglia Arte
https://www.youtube.com/watch?v=b7RKfvGIeYs

reportage Percorsi a cura di EscaMontage
https://www.youtube.com/watch?v=XuANpO4TnP4

Premio Nazionale di Arte Contemporanea si Chiaravalle Centrale (Catanzaro) 2023
https://www.artesocieta.eu/al-via-la-seconda-edizione-del-premio-nazionale-di-arte-contemporanea-chiaravallearte/

Strade di Luca Scacchetti

Venerdì 16 febbraio 2024 dalle 19:00
presso la Kantina di Ale
via delle Giunchiglie, 40 Roma
ingresso libero

Incontro con l’autore Luca Scacchetti con il suo libro “Strade” un viaggio lungo una vita

immagine di copertina di Riccardo Frezza

Quarta di copertina:

Cosa fa l’amore, quando finisce?
Stasi, congelamento, rifugi ideologici, rancore, talvolta il conforto degli amici. Ma pure strani incontri, situazioni al limite del ridicolo, qualche vago anelito di speranza condito pur sempre dall’insidia del dolore: chi è dunque l’altro e da dove viene, c’è forse un qualche legame tra la delusione d’amore e la condizione di ognuno? Chi è l’io che soffre?
Con un gusto aperto al surrealismo e all’ironia, tra prosa e poesia, in questa raccolta l’autore esplora i piani dell’amor perduto provando a travalicare la dimensione del singolo, perché non si trascuri nessuno, neppure il confronto coi propri fantasmi più reconditi, affinché il domani possa rappresentare una reale rinascita.
Cosa fa dunque l’amore, quando finisce?
Strade prova a offrire una risposta, preferendo lo sguardo di chi percorre i marciapiedi, in viaggio nei meandri del quartiere.

Nell’accogliente Kantina di Ale oltre a fare ottime degustazioni, ogni mese in esposizione artisti diversi. La rassegna curata da Marcho Gronge è inaugurata con i suoi Disegni Bruttini, venerdì ancora in mostra

DEMOLITION BALL

Sarà l’occasione di poter incontrare due autori di stili diversi in un colloquio intrigante e pieno di sorprese e di poter acquistare le loro opere. Coordina la serata Iolanda La Carrubba.

Prossimi appuntamenti con:
VASTO SOTTOBOSCO collettivo con: Marcho Gronge, Marco Olivieri, Luca Scacchetti, Elena Nwamaka Okechukwu, Barbara Caridi, Iolanda La Carrubba
Venerdì 23 febbraio 20204 Il Cantiere via Modena 92
K.A.I. EVENT:
https://kulturjam.it/events/

Comunicato stampa a cura di EscaMontage

Autori

Lorenzo Poggi:
Nuovi Sentieri

Serafino Murri:
Invisibile a me stesso

Joe De Vecchis
Poesie d’amore in jazz

Alfredo Silvestri:
Voci di richiamo

Manuela Greco:
Riflessioni e pensieri

Lorenzo Poggi:
Roma NostraStretti Sentieri

Giulia Bertotto:
In caso di apocalisse

Martino Marini:
Prove tecniche di esposizione

Emiliano Scorzoni:
Dilaettica dell’immaginario

Marzia Badaloni:
La settima soglia

Angela Donatelli:
Mi vestivi di nero velluto

Rosario Romeo:
Frammenti di-versi

FREE DOWNOLAD MASSIMO PACETTI:
Chiaro Inchiostro

NUOVI SENTIERI DI LORENZO POGGI

Autore: Lorenzo Poggi
Curatore: Iolanda La Carrubba
Edizioni EscaMontage
Collana: Poesia
Anno edizione: 2023
Pagine: 54
EAN: 9788831380201
€ 15,00

Nota a cura di Paolo Carlucci su Lorenzo Poggi, Nuovi sentieri: Haiku, Senryu, Waka e Tanka, EscaMontage, Roma, 2023

Nella sua molteplice attività poetica, Lorenzo Poggi ha sempre una vocazione decisa all’essenzialità. Sentieri intrecciati di pensieri vengono gettati sulla carta, svelano un paesaggio di osservazioni fulminee: nasce insomma un cammino fatto di scorci di vita e natura. Descrizioni di stati d’animo con accesi cromatismi stagionali costellano i versi brevi del poeta romano.

Il gelo fodera i prati
e scricchiola
i tuoi passi nel verde.

Il muschio del nord
parla gaelico
sul tronco del cedro.

   Poggi ama i frammenti, i versi brevi, le forme aforistiche, sapide di mestizia, di cui compone anche poesie più articolate e complesse, come dimostra questo brano tratto da una silloge importante, La Nauseatudine (“Poesie”, prefazione di Plinio Perilli, La Vita Felice, 2019)   

Torno a parlare di pane e di vino
con la luna che taglia l’erba
e la stella a indicare la via.

O ancora

Ho lanciato frasi d’amore
nell’aria sferzata dal vento
parole scomposte sui tronchi d’olivo.

A chiudere questo florilegio da La Nausetudine, riportiamo questo componimento che esprime la forte volontà di rarefazione stilistica del Nostro.

Ho steso le mani
per farne coppe amorose
in cui bere la vita.

Emerge quindi il verseggiare di un dolce/amaro epigrafista di realtà, spesso anche in vernacolo romanesco. Proprio una tale abitudine alla nausea, un distacco dalla melma del reale, portano Poggi a ritrovarsi nella tradizione orientale dell’Haiku e dei suoi altri consimili schemi metrici chiusi, come appunto il Waka e il Tanka, o il folle e ironico, vorremmo dire satirico, uso del Senryu, un haiku più graffiante e meno descrittivo.
Ecco ad esempio:

Povero clown
rappresenti la vita
dietro quel naso.

Oppure

Un giorno grigio
s’affaccia alla finestra
senza entusiasmo.

Modelli più classici di haiku giapponese (strutturato nella forma chiusa del 5/7/5 e col kigo, stagionale espresso), si trovano però in questi Nuovi Sentieri,che riprendono e aggiornano il viaggio dell’autore nell’haiku di Stretti sentieri, (2017, sempre per Escamontage) .

Ma so d’autunno
di foglie che cadono
senza rumore.

La primavera  
s’inginocchia all’altare  
del verde intenso.

Versi di un immobile vento pittorico, sulla scia del grande Basho, il maggiore autore di haiku giapponese, perché la forza dell’haiku è un respiro sospeso sul mondo, epifanizza un battito di ciglia che scopre nella natura; lo specchio di un lago il volo di una farfalla, la neve di un monte. In questo modello poetico c’è sì un descrittivismo apparentemente semplice e ingenuo, ma in realtà nella tradizione orientale dell’haiku, come pure nel tanka è sotteso un complesso e rastremato universo di emozioni, di pura essenzialità naturale ed esistenziale. Scintille di sguardi universali!
Ma in Poggi, i vari componimenti presentano spesso un’ombra di riflessione dolorosa sulla realtà, specie nei waka e nei tanka (articolati metricamente in schema di 5/7/5/7/7versi)

Lungo gli argini
del tempo che fluisce
s’affastellano
ricordi come schegge
tra canne di passato.

Ecco che questi scatti in b/n, offrono forse i colori più intimi della visione incantata/disincantata di Lorenzo Poggi.

Mario La Carrubba

Mario La Carrubba 15 gennaio 1944 Roma è un pittore e poeta italiano. Ha frequentato l’Accademia delle belle arti. Ha partecipato a numerose collettive, rassegne d’arte e personali tra le quali, Visioni cromatiche presso la biblioteca Vallicelliana di Roma, Cromatismi presso il museo Manzù di Ardea, Rationalis Chaos presso le Terme di Bonifacio Fiuggi. La sua è una ricerca cromatica-cinetica compenetrante il dato reale, tale da consentire al fruitore di inserirsi nell’idea visionaria dell’opera che ha una relazione diretta con la visione poetica del soggetto. Delle sue opere sono esposte in alcuni musei tra i quali, museo Archeologico di Atina (Frosinone), museo d’Arte delle Generazioni d’Italia del ‘900, Pieve di Cento (BO). Ha ricevuto diversi premi tra i quali: primo premio Fragolina d’Oro 2017, Biennale d’Arte Internazionale di Roma XIV. Si ricordano alcune testate giornalistiche che si sono interessate, tra le quali: Daily American, John Hart 1966, Herald Tribune, Edith Schloss 1972, Il Mezzogiorno dell’Abruzzo, Andreina Bonanni 1973. Tra le pubblicazioni si ricordano Storia dell’Arte italiana del ‘900 a cura di Giorgio Di Genova (Edizioni Bora), Nella punta dello stivale a cura di Enzo Le Pera (Falco editore 2022). Nel 2022 rilascia un’intervista, insieme alla compagna di vita e d’arte Lina Morici, per la rassegna d’arte Incroci Mediterranei a cura di Maurizio Vitiello e Pino Cotarelli. Da sempre attratto dall’evoluzione della tecnica e delle tecnologie, realizza anche lavori di Computer-Art e Video-Art. Alcuni suoi video sono stati in programmazione presso il Cinelab dell’Isola del Cinema di Roma e l’omaggio ad Anna Magnani “Nannarella” è stato trasmesso su Rai 3 durante uno speciale. Affascinato dal mondo della poesia, alla quale ha dedicato diversi lavori, ad oggi è intento a realizzare la sua prima raccolta sinestetica, infatti da un lato le poesie (che in un certo senso sono parola del suo lavoro pittorico) e dall’altro convivono gli acquerelli che trasmutano la parola in pittura. Nel 2023 ha partecipato all’Asta “Arte per la Vita” al Museo Crocetti a sostegno dell’iniziativa “Ti Accompagno IO!” a cura di Giorgio Bertozzi vendendo una sua opera.

ANTOLOGIA CRITICA

Giorgio Di Genova da Storia dell’arte italiana del’900. (Ed. Bora 1986)

Una predisposizione ai dialoghi di scene visionarie ed elementi definiti geometricamente rivelava il romano Mario La Carrubba sin dalla prima personale del 1972 alla Galleria Trifalco di Roma, nella quale già presentava dipinti attestati sulla dicotomia tra una geologia fantastica dagli evidenti debiti verso Tanguy e ben definiti e lucenti elementi metallici, di sottinteso omaggio a Léger, che s’ergevano ora come cittadelle futuristiche (Apoteosi, 1972), ora come marginali contenitori di valvole (Rapsodia, 1972) o sorta di diga al fondo di una vallata con strane protuberanze vegetali spuntate tra sassi e chiuse ai lati da ancor più strane rocce di varia conicità e da tentacolari piante (Idiliatis, 1972). Ma l’opzione geometrica aveva il suo apice nel Labirinto che, inquadrato dall’alto, lasciava a vista l’invasione dei singoli ambienti da parte di misteriose petraie, che già nel ‘71 in Stadio erano state incanalate, come flusso di folla, tra le laterali geometriche strutture aperte, sulla sommità delle quali spuntavano le fila di quella sorta di altissime pillole tubolari che s’assiepano ai lati della strada nel dipinto Giulio passa il Rubicone, nel cui cielo sono sospesi i campanelli fessurati di Magritte, i quali qui sembrano capocchie di viti sistemate a sostenere le zone più alte. In seguito, forse a causa della violenta Esplosione del ‘73 avvenuta sulle lande del desertico pianeta, il visionarismo privilegia il versante metallico in una serie di opere tecnologiche di palese ironia sulla tenuta delle strutture che, infatti, in Asmodeus Selenico (1973) si rompono, ma che vengono anche invase da bollicine e fuoriuscite di liquidi (L’apologeta dell’aerosol, 1973). Sempre in virtù della tecnologia si verifica uno spostamento dalla geologia allo spazio cosmico, per cui le pillole, dopo essersi accorpate a formare un nastro reggi-calotta (La bella addormentata, 1973), si trasformano dapprima in pilastrini di sostegno di una sfera contenente coaguli e vari materiali (La Cornucopia, 1974) e poi in ogive con la parte superiore trasparente (Giavese self, 1974) e con il corpo invaso da pietre (Provenienza simbolica, 1974). E sempre le superfici sono imperlate da gocce e piccole conformazioni di liquido trasparente come l’acqua. Ma la lucidità esecutiva per restituire la metallicità nella seconda metà degli anni Settanta fa riaggallare in scene d’interno la geometria che dà ordine con verticali bande cromo-luminose ad una natura morta con carciofi e finocchi (Natura morta con finocchi, 1977), propone un arciere, mentre sta per scoccare la freccia all’interno di un tondo di un quadro in un interno tutto inclinato da una sorta di lunga vetrata posta sopra ninnoli e soprammobili, tra cui spicca un elefantino (Guglielmo Tell, 1977); mentre in altri interni apre finestre con reticolati, dietro cui s’intravedono dischi su cui vola un uccello, oppure incorpora dischi in un angolo di struttura quadrata che si sovrappone a bande metalliche e ad un piano rosa, tutti elementi riflessi all’interno di una sfera sospesa a mezz’aria (La sfera incantata, 1977). Ormai le basi per le future peregrinazioni tra mondi immaginari e spazi immaginati, nei quali anche l’atmosfera acquista forme geometriche, sono state costruite.

John Hart Daily American 1978

[…] His hand can riproduce any texture he wants, and some you may never have seen before. The message is as complicated as the composed jumble of glowing crystals, polished machine parts, still – life fruit and flower arrangements and photographs. The effect is cinematic in an epic adventure and sci – fi style with a brilliant director and cameraman on the job, but everything is a one -man superproduction.

[…] La sua mano può riprodurre tutte le superfici che vuole e persino qualcosa di mai visto prima. Il messaggio è complesso come le sue composizioni di frammenti di cristalli brillanti, lucide parti di macchine, frutta fresca e particolari di fiori e fotografie. L’effetto è cinematografico come in un’avventura epica dallo stile sci-fi con un brillante regista e cameraman a lavoro, tutto nella superproduzione di un unico uomo.

Enrico Fanciulli dal Numero Speciale di Avditorivm Anno XVIII. N. 5

[…] Il suo animo è volto a riprendere le “occasioni della vita moderna” per riproporle in modo estroso ed audace. In La Carrubba il simbolismo e la meccanica di origine surrealista sono svolte con un rigorismo e una consequenzialità ammirevoli in un giovanissimo, la cui esperienza è ancora appena abbozzata.

Mario Lunetta presentazione Visione Cromatiche Biblioteca Vallicelliana

[…] Tutto, in questi quadri che sembrano dipinti dentro un vortice o sotto folate di vento, è perturbamento e impossibilità di trovare un ubi consistam. Tutto appare provvisorio, precario spettrale: e allora ciò che ne determina la forza veloce è l’avvolgenza di un folgore coloristico in cui si impastano soprattutto l’azzurro, il blu, il giallo limone, il verde, con bagliori di bianco e di rosso aranciato, in un’accensione come di tramonto, di una luce che resiste un’ultima volta prima di cedere alla tenebra.

Plinio Perilli da Le reti di Dedalus

[…] Mario La Carrubba traccia le diagonali anche all’aria o al cielo, e geometrizza i simboli – l’archetipo dell’archetipo, il mare anche dentro uno sguardo… E poi li sgeometrizza, questi simboli di ieri perché identici al domani: li scompone, e ancora irradia, ad antiquo, in nuovi peritissimi archetipi. […] Il ’900 già chiedeva alla categoria del Moderno di infibrare di carne ogni idea per disseccarsi pensiero, tavolozza anzitutto filosofica… I colori cangiano – si perdono e si temprano in una nuova riconquista, misurazione/apposizione di confini: ed è l’eterno Pragma del Sogno, “Il dato oggettivo” polverizzato a giostra emotiva di una verità mentalmente acquisita ma irrivelabile per algebricità di ragione.

Enzo Le Pera da Quintetti d’Arte (Robin edizioni)

La pittura di Mario La Carrubba obbedisce al colore, con diffuse geometrizzazioni; in tutte le sue opere sono presenti tagli, angoli. Come ogni artista, anche Mario La Carrubba dipinge il suo vissuto, i suoi ricordi, il suo bisogno di esistere. In ogni sua tela egli dipinge un brano della propria vita, superando e annullando il suo pensiero razionale per proiettarlo nel mondo del sogno e della fantasia e, come un novello Astolfo, cavalca il suo Ippogrifo e se ne va scorrazzando nei cieli infiniti alla ricerca del suo mondo interiore. La sua pittura è di derivazione surreale, ma di un surrealismo “gioioso”, senza dramma e tormento, un surrealismo non figurativo, che gli permette di superare comunque i limiti del movimento. Mario La Carrubba scandaglia quindi il suo inconscio, come nella migliore scuola surreale, con delle proprie caratterizzazioni. Pur mancando la figura vi sono pur sempre tracce di figurazione, meglio di geometria: Giorgio Di Genova parlerebbe probabilmente di pittura aniconica.

Maurizio Vitiello dal catalogo del XLVIII PREMIO SULMONA

Mario La Carrubba è un artista che, silenziosamente, fa fruttare la sua lunga esperienza in tele che si dispiegano ad accogliere squillanti fraseggi e compite velature. Tutte le sue stesure offrono incanti surreali e accezioni subitanee, che diramano temprate, aree conduzioni e freme abbreviazioni.

ESPOSIZIONI PERSONALI

1968 Roma Galleria d’arte Stagni         
presentazione di Attilio Freschi
1969 Roma Il cavalletto
1972 Roma Galleria d’arte Il Trifalco
1972 Cosenza Galleria d’arte La bussola
a cura di Maria Carbone
1973 L’Aquila Galleria d’arte La sonda
1975 Matera Galleria d’arte Studio
1975 Ostiglia Galleria d’arte L’incontro
1976Roma Galleria d’arte Ciak
1976 Mantova Galleria d’arte 9
1978 L’Aquila Galleria d’arte La sonda
1978 Roma Galleria d’arte Due Mondi
1980 Assisi Galleria d’arte Le logge
1986 Roma Galleria d’arte Il Trifalco
2006/7 Roma Associazione Terzo Millennio
2008 Ladispoli Hotel Villa Margherita Ladispoli
a cura di Gianfranco Mascelli2009 Roma Lavatoio Contumaciale
presentazione di Tomaso Binga
2011 Roma Biblioteca Vallicelliana Sala Borromini
presentazione di Mario Lunetta
2011 Roma Polmone Pulsante
a cura di Saverio Ungheri
2013 Ardea Museo Manzù La sesta vocale
presentazione di Marcella Cossu e Plinio Perilli
2014 Nettuno Forte Sangallo Dissonanze poetiche
2015 Roma Centro Culturale Gabriella Ferri
a cura di EscaMontage
2015 Roma Ambasciata d’Egitto Culture a confronto
2016 Fiuggi Terme Fonte Bonifacio VIII Rationalis Chaos
2019 Roma Museo d’Arte Il Mitreo Passeggiate Cromatiche
a cura di Iolanda La Carrubba con presentazione di Enzo Le Pera
2022 Roma Museo D’Arte Il Mitreo Bipersonale Percorsi con Mario La Carrubba
a cura di Iolanda La Carrubba con presentazione di Enzo Le Pera, Pino Chiovaro e Maurizio Vitiello

MUSEI

2016 Atina (FR) Museo Academie Vitti
Siesta sotto i ruderi
2020 Sant’Oreste (RM) Museo Comunale di Palazzo Caccia
Felliniano Mondo
2024 Chiaravalle Centrale Museo di arte contemporanea

PREMI

1965 Ardea Il Gran Premio Manzù
1966 Ardea II Mostra internazionale di pittura estemporanea
diploma d’onore, medaglia d’oro E.T.T. di Roma
1969 Trevignano Premio Nazionale Lago di Bracciano
I Premio Comune di Trevignano
1976 Premio Marco Aurelio
attestato di benemerenza
1994 Parigi Premio Italia a Parigi
1996 Foggia Premio Primavera 28° Mostra Nazionale di pittura
2017Nemi Fragolina d’Oro
Primo Premio
2018 Citra (CZ) Biennale Internazionale della Calabria Citra
Diploma alla carriera
2022 Roma Seconda Mostra di Selezione della Biennale Internazionale

Linkopedia breve:
Cominicato stampa del Vernissage di Visioni cromatiche presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma a cura di Iolanda La Carrubba con intervento critico di Mario Lunetta
https://1995-2015.undo.net/it/mostra/114356
MIBAC elenco delle Manifestazione di interesse bibliografico
https://biblioteche.cultura.gov.it/it/documenti/7-13_feb.pdf

Generazioni anni ’40 a cura di Giorgio Di Genova Museo d’Arte Generazione Italiana del ‘900
https://www.giannamaggiulli.it/wp-content/uploads/2021/01/Elenco-Artisti-Esposizione-Sala-della-Generazione-anni-40-Museo-G.-Bargellini.pdf

Panorama dell’arte contemporanea in Italia – 2019
https://issuu.com/estefian/docs/panorama_2019_single_page

Intervista a cura di Maurizio Vitiello:
https://www.positanonews.it/2023/05/arte-contemporanea-intervista-allartista-mario-la-carrubba-a-cura-di-maurizio-vitiello/3635779

Pagina Facebook dell’artista nella GNAM Galleria Nazionale d’arte Moderna
https://www.facebook.com/groups/75396997374/user/100024732514351/

Exibart:
https://www.exibart.com/artista-curatore-critico-arte/mario-la-carrubba/

Link al video del vernissage di Percorsi a cura di Iolanda La Carrubba, antologica di Mario La Carrubba e Lina Morici preso IL MITREO
https://www.youtube.com/watch?v=XuANpO4TnP4&ab_channel=EscaMontage

Premio Nazionale di Arte Contemporanea si Chiaravalle Centrale (Catanzaro) 2023
https://www.artesocieta.eu/al-via-la-seconda-edizione-del-premio-nazionale-di-arte-contemporanea-chiaravallearte/

Il canale youtube:
https://www.youtube.com/user/MarioLina44

Performance AI plasir d’amour con esposizione

Cristiano Quagliozzi “Sovrappensiero” olio su tela 80×70 Roma 2021

Il 29 settembre allo Sweet Banch arriva “AI plasir d’amour” performance poetico visva dedicata all’Artificial Intelligence. Con Iolanda La Carrubba, Marco Olivieri, Antonella Fava, Giovan Bartolo Botta.
Inaugurazione dell’sposizione di Cristiano Quagliozzi che oltre le stampe in occasione della performance porterà l’opera “Sovrappensiero”

Un incontro tra due realtà incastrate tra altrettanti incastri. Si parte alle 19:00 con un brindisi via Casilina 283 ingresso libero.

Cristiano Quagliozzi si laurea con lode presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma, alla Cattedra di pittura del maestro e pittore Andrea Volo. Sia durante il periodo accademico che in seguito è stato presente in diverse pubblicazioni d’arte, mostre e residenze d’arte in Italia e all’estero. Su di lui vengo pubblicate tre raccolte monografiche: “Quando gli uomini non avevano le ali” (Polìmata Edizioni); “Orizzontale Verticale” (Edizioni Progetto Cultura); “Arca” (Ali Ribelli Edizioni), che documenta il grande disegno realizzato con l’artista Milena Scardigno esposto nel 2019 in una mostra dedicata curata da Giovanna dalla Chiesa presso il Museo di Roma in Trastevere . Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private. Vive e lavora a Roma

www.cristianoquagliozzi.it

Evento a cura di EscaMontage
per info e contatti: escamontage.escamontage@gmail.com

#attaccopoetico a Villa Gordiani

Si è tenuto sabato 20 febbraio 2021 in collegamento streaming l’incontro con #ATTACCOPOETICO a cura della Nazionale Italiana Poeti nella giornata mondiale della giustizia sociale. Un “flash mob” che ha visto partecipare poeti da tutto il mondo. L’iniziativa nata sulla scia di eventi poetici/artistici organizzati dall’interessante sviluppo dei social fino ad oggi. Prima di procedere è necessario fare un piccolo passo indietro nella storia. La poesia civile ha origini lontane dai cantori greci, si pensi a Alceo di Mitilene (Mitilene, isola di Lesbo, seconda metà del sec. VII – sec. VI aC) e più lontano nel tempo alle pasquinate. Nell’epoca contemporanea, poeti quali Cecco Angiolieri, più avanti Umberto Eco e via-via tra lirismo, sperimentazione e poesia giocosa, il tema “civile” viene riproposto sotto varie “mutazioni poetiche”. L’importanza di un flasch mob come #attaccopoetico, è non solo il tema proposto, ma il riuscire a portare la poesia ovunque, nelle strade, nelle case, nella mente delle persone. La giornata dello scorso sabato è stata pre-primaverile. EscaMontage ha invitato Lucianna Argentino, Silvia Bove, Davide Cortese, Tiziana Colusso, Claudio Comandini, Fernando Della Posta, Iolanda La Carrubba, Silvio Raffo, Irene Sabetta, Giuseppe Spinillo e il cantautore di poeti Amedeo Morrone a rivedersi (visti i fatti recenti) nella stupenda cornice del parco di Villa Gordiani. La risposta da parte degli astanti è stata inaspettata. Molti (mantenendo le distanze e indossando mascherine) si sono avviciniati per informarsi su quanto stava avvenendo. L’espierienza di EscaMontage presso la villa era stata già fatta durante l’estate scorsa, in un incontro politematico definito #unmetrodipoesia. Una performance a cielo aperto dove ogni poeta formava un cordone umano, tenendo in mano come simbolico legame amicale e intellettuale, un nastro regalo della lunghezza esatta di un metro, per rispettare le disposizioni per la salvaguardia della salute, senza però rinunciare alla gioia dell’incontro e soprattutto alla poesia.
Foto di Valerio Di Gianfelice

INVISIBILE A ME STESSO DI SERAFINO MURRI

Autore: Serafino Murri
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Immagine in copertina: Mario La Carrubba
Traduzione: Serafino Murri, Fabiomassimo Lozzi
Edizioni EscaMontage
Collana: Poesia
Anno edizione: 2021
Pagine: 54
EAN: 9788831380140
€ 12,00

Invisibile a me stesso è forse lo scritto a cui sono più legato. Per me si tratta, come avrebbe detto Andrej Tarkovskij, di una specie di “tempo scolpito”, di memoria scorporata. In altre parole, dell’unico caso in tutta la mia vita, condizionata dalla mia scrittura “scientifica” di saggista anche in campo letterario, in cui ho sentito di riuscire nell’altrimenti vano intento di eliminare nella scrittura ogni filtro, ogni spiegazione; di parlare a me stesso ad alta voce, e lasciare che gli altri ascoltassero appropriandosene, e dando un senso personale a quanto avevo scritto.

Serafino Murri

Recensione a cura di Sacha Piersanti

A una prima lettura verrebbe da dare l’istintiva definizione di “flusso di coscienza”, ma in realtà siamo di fronte a qualcosa di ben più controllato e strutturato. Qualcosa che non esiterei a definire “piano sequenza”. [ricorda il Gadda di “Come lavoro” e “Il palazzo degli ori”].

La lingua, infatti, che Murri impiega è una lingua estremamente vivida e visiva, registica nel senso anche più tecnico del termine, una lingua (e, soprattutto, un ritmo e un’attenzione ai dettagli) che ha il compito che nel cinema ha la macchina da presa: una lingua che, insomma, prima di dire e di definire, osserva.

Murri “osserva con la lingua che usa” significa che non c’è mai scissione, in questo poemetto, tra ciò che vediamo e ciò che ascoltiamo, leggendo: “Con le véne fuòri dai pólsi || aggrappate a sensazioni ricorrenti / di bevande scadenti e cibo guasto / nei riflussi di desiderio nero / – esistere, resistere, provarci e fottere e / fàrcela, || farcela ancora tra le vecchie mura scrostate / con gli occhi del gatto puntati addosso ancora ancora sopra i letti…” (pp.9-10). Come si vede, forte è l’attenzione, anzi, forse anche, l’istinto – un “attento istinto”, ecco, all’elemento fonetico-simbolico della parola impiegata; elemento fonetico-simbolico che s’incastra perfettamente con quello più descrittivo. Quel che viene fuori, quindi, è che vediamo bene sia “le mura scrostate” e “gli occhi del gatto”, com’è ovvio, sia (cosa invece più preziosa) “le vene…aggrappate”, “il desiderio nero”.

La lingua di Murri, dunque, vede e fa vedere ciò che nomina.

Un elemento, allora, ulteriormente significativo, come si sarà già capito, è la capacità e l’interesse di Murri per l’accostamento tra l’estremamente concreto, percepito con i sensi, e l’impalpabile: gusto dei carciofi/paura (gusto; p.13); motore bus/memoria (udito; p.15).

In questo che chiamiamo “piano sequenza” (o “flusso di sequenza” o, meglio, “piano coscienza”), Murri, ancora una volta dosando bene istinto e attenzione, ispirazione e riscrittura, lavorio, sembra seguire un procedimento tipico che potremmo riassumere in 5 brevi tappe: Osservazione (oggetto/ambiente concreto) 🠖 Notazione personale (senso/pensiero) 🠖 Ritorno al concreto, come per verificare la giustezza della propria “notazione” 🠖 Slancio aneddotico 🠖 Metafora/similitudine che “oggettivizza” la sensazione/il pensiero personale.

Abbiamo parlato di un unico flusso, ma in realtà pare possibile riconoscere nel poemetto almeno due momenti diversi, più un terzo che fa come da cerniera: 1) Piano sequenza con “corpolingua” registico volto all’esterno 🠖 Pg. 25 si apre “momento liturgico” con sorta di apostrofe al padre, nel quale, però, “io” mittente e “tu” destinatario sembrano mescolarsi, confondersi (cfr.pg. 27: “pensa al tuo pensiero”, come a sforzarsi di dare consistenza al “tu”, sfuggendo all’ “io”) 🠖 2) Dopo quel momento, ritorna il “piano sequenza”, ma stavolta il “corpolingua” è proiettato più verso l’interno, è più emotivo.

E la struttura è perfettamente circolare: 1) Eugenio militare tossisce fastidioso: evoca pensieri e immagini; 2) Pensieri e immagini (il “flusso”); 3) Ritorno a Eugenio, con l’io che ricorda certe parole dette sul buio.

Ecco quindi che il flusso registico diviene flusso emotivo che impedisce totalmente di distinguere “filgio” dal “padre”, l’io dall’altro, perché non c’è che unità anche laddove sembra ci sia per sempre frattura: pg. 27 (senza dire parole… fino alla fine della strofa).

Il tutto, ovviamente, con grande presenza dell’Io, che, merito grandissimo, non è mai autoriferito né narciso, ma proprio “regista” (invisibile a me stesso allora significa anche questo: io che sto dietro la macchina da presa=la lingua vedo tutto ma non me).

Su Invisibile a me stesso di Serafino Murri

di Simone Carunchio

Mediante un registro linguistico denso e variegato, con una punteggiatura asservita al ritmo sincopato di un versificare libero e musicale, che con l’utilizzo di opportuni enjambement invoglia a proseguire la lettura, Serafino Murri, con Invisibile a me stesso, ci fa sprofondare, nel lasso di tempo ridotto di poche pagine, in una giornata dedicata ai ricordi.
Si tratta di ricordi in cui predomina il colore nero – anzi, l’unico colore della composizione: il “nero incrostato nelle pentole”, il nero della “cassapanca nera accanto al letto”, il nero “dei drappi neri” alle finestre di casa. Un nero che non è il non detto della destinazione né della scaturigine, ma il nero sostanziale di una vita passata tra panni sporchi, droghe e ricerca di dignità. Un nero di vite ai bordi dell’esistenza. Un nero di vite che, volenti o nolenti, sono limitate all’esserci. Un nero inconfessabile se non, forse, per iscritto. Si tratta, infatti, di ricordi intimi, familiari e di vicinato (in cui traspare un contesto da Italia del dopo guerra).
Non voglio svelare il contenuto del poema – in particolare per quanto concerne i familiari –, ma mi pare il caso di evidenziare come la “slavina inutile di vecchie impressioni” sia “risalita coi colpi di tosse di Eugenio il militare”. Sì, il militare, colui che vive nel dovere e nell’obbligo. L’inizio e la fine del poema, in cui si incontra questo personaggio, possono quindi rappresentare uno dei messaggi forse più criptici e metaforici di questo poemetto, per altri versi, così chiaro e crudo: ricordarsi che ricordare deve rappresentare un obbligo. Ricordarsi che è necessario fermarsi a ricordare. Che occorre darsi il tempo di ricordare. Che ce lo dovremmo imporre come si impone un obbligo militare.
È su questo piano che forse si potrebbe spiegare anche il titolo del poema, che mi risulta misterioso: ricordando ci si dimentica di se stessi? Ma non è proprio ricordando che questo se stesso prende consistenza? Questa tensione tra opposti mi pare che percorra tutto il libro, un libro di ricordi che si avvia con il narratore che ci fa sapere di essere, nel mattino “presto invernale” dal “silenzio dolce liquido” in cui la vicenda ha inizio, “incapace di ricordi”.

Nota alla lettura di Claudio Comandini

“ridiscendo stranito dalle braci degli occhi

nello specchio

quel che c’è e pure non vedo

invisibile a me stesso che mi guardo

mentre fuori avverto

scosse di vento sul filo

dei panni stesi, gonfi uccelli senza testa,

nella dolce illusione di non poter fermare

questa slavina inutile di vecchie impressioni”

In versi che si approssimano alla chiusura del poemetto di Serafino Murri, nei quali ricorre la fase da cui è estrapolato il titolo, la figura umana risulta invisibile allo sguardo, mentre la coscienza è del tutto estroflessa negli spazi esterni e nelle sue determinazioni, ordinarie e meno. Ma il ricordo è inarrestabile, e frana nel presente. La memoria, come nota lo stesso autore, è scorporata, la voce parla alta a se stessa eppure scolpisce un tempo disponibile a modellarsi nei vissuti altrui. L’immaginario personale trova il modo di formularsi in elementi di carattere universale. Il movimento cinematografico, le inquadrature e il montaggio attraversi cui giunge a comporsi la vicenda, che espone un lutto, costituiscono l’elemento di continuità di questa opera e la produzione scientifica dell’autore, critico cinematografico di professione.  L’acquerello di Mario La Carruba che fornisce la copertina si chiama proprio Lo specchio. Qui ombre antropomorfe sono riflesse e moltiplicate in forme geometriche differenziate, nelle cui sfumature cromatiche c’è la prevalenza del blu, che si addensa nell’altro, mentre strisce di rosso si concentrano nella parte bassa. Un effetto di invisibilità viene a formularsi nelle aree bianche nelle quali vengono a intersecarsi gli angoli nei quali si compone la rappresentazione. La denaturazione dell’ambiente, i tracciamenti cinetici, il visionarismo onirico, il dinamismo delle forme, la penetrazione dello spazio, l’aspetto cinematografico, insomma gli elementi caratteristici che via via sono stati notati dai critici che ne hanno letto l’opera, riescono a fornire un efficace pendant al poemetto, confermando quelle coincidenze in cui Murri vede formularsi il senso delle cose.

POESIE D’AMORE IN JAZZ JOE DE VECCHIS

Autore: Joe De Vecchis
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Immagine in copertina: Valerio d’Angelo
Edizioni EscaMontage
Collana: Poesia
Anno edizione: 2022
Pagine: 72
EAN: 9788831380164
€ 12,00

Il suono è complice protagonista in questo diario poetico, suono che appartiene a Joe De Vecchis con il suo saxofono fatto di ritmo e improvvisazione dai toni jazz e blues. Un diario poiché la linea narrativa si sviluppa attorno a temi intimisti, riflessivi dove il leitmotiv è l’amore. Qui “tracciando sentieri di vento” su di un pentagramma immaginato e immaginifico, si svolge una ricerca armonica nel complesso universo della reminiscenza. (dalla prefazione)

32 prose poetiche

di Alessandro Perrotta

Autore: Alessandro Perrotta
Curatore: Iolanda La Carrubba
Impaginazione: Valerio Di Gianfelice
Opera in copertina di: Valerio d’Angelo “The martyrdom of Santa Thapara”
Collana: Narrativa
Pagine: 52
ISBN: 978-8831380188
€: 12,00

Fin da subito Alessandro Perrotta s’immerge nel vasto regno della sfera emozionale, richiamando alla memoria, esperienze, vissuto e sogni. Sogno e desiderio sono l’inchiostro di questa penna ansiosa di parole. Il flusso così si anima in una multidimensionalità della narrazione intima. Si apre un discorso semplice seppur pregno di ostacoli, limiti e difficoltà. Alcuni momenti risultano lapidari ma i risvolti possiedono una sottile ironia che ne determina il ritmo. L’andamento metrico si riposa nella prosa e diventa sorpresa inattesa, desiderata e nei meandri di questo diario malinconico, appaiono suggestioni autentiche. (Iolanda La Carrubba)

Cella Nr. 14 e Libertà domiciliare

di Luca Masculo Legato

Autore: Luca Masculo Legato

Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice

Illustratore: Lina Morici

Editore: EscaMontage

Collana: ViceVersa

Anno edizione: 2021

Pagine: 236 p.

EAN: 9788831380133

€ 14,00

“È là dentro, sta racchiusa tutta lì la somma delle cose sentite, annusate, guardate, ascoltate, viste, sviste, alcune solo percepite, e poi annotate dall’autore. Degli eventi direttamente vissuti o appurati attraverso i racconti delle donne e degli uomini incontrati sul marciapiede della vita. Del presuntuoso raccoglitore di memorie in forma di appunti, convinto che un giorno giustizia alfine sarà fatta, e lui riconosciuto quale più grande scrittore che il mondo abbia mai letto. Di lui resterà sempre quell’insanabile curiosone con in bocca un sigaro, i denti storti ed una lista di puttanate in inesauribile produzione; un antieroe che girava con un grosso faldone dalla copertina giallo-paglierino sotto il braccio, in cerca di un editore.” (Luca Masculo Legato)

Voce del verbo vivere

Curatore: Davide Cortese
Edizioni EscaMontage
Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Anno edizione: 2021
Pagine: 90
EAN: 9788831380126
12,00 €

“VOCE DEL VERBO VIVERE – Autobiografie di tredicenni” nasce in seguito a un laboratorio di autobiografia che ho condotto nella classe III C della scuola secondaria di I grado “Via Poppea Sabina”, a Casal Monastero, nella periferia di Roma. Il breve laboratorio si è tenuto nell’ottobre del 2020. In piena pandemia, dunque. La vitalità delle storie e dei sogni dei ragazzi della III C è per me luce nel buio: intima fiducia nel presente – che è terra del possibile – e invincibile speranza nel futuro.
(Nota del curatore)

EnoPoetica

Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2020
Pagine: 58
EAN: 9788831380089
€ 10,00

ENOPOETICA Challenge è una pubblicazione connessa al progetto “ENOPOETICA”.
Progetto originale di Francesca BELLINO, Rino BIANCHI, Davide CORTESE
Introduzione | Introduction: Rino BIANCHI
Fotografia di copertina |Cover Photograph: Rino BIANCHI
Progetto grafico copertina| Cover design: Francesca CRISAFULLI
Impaginazione | Layout: Valerio DI GIANFELICE
Prima edizione: Roma ottobre 2020
Questa pubblicazione è stata finanziata da | This publication was financed by: L’Enoteca di Via Macerata

Nota di Rino Bianchi
Enopoetica è nata quasi per caso, dall’incontro tra amici, lungo il piano levigato dell’Enoteca di Via Macerata.
Ci siamo incontrati, abbiamo parlato, abbiamo messo sul piano del tavolo le nostre idee, i propositi e, alla fine, è venuto fuori un bel progetto: far raccontare ad un poeta vivente un poeta del passato.
In breve tempo abbiamo definito un programma ricchissimo che raccoglieva intorno a sé i più bei nomi della poesia italiana contemporanea. Il primo incontro è partito “col botto”: Gabriella Sica ha raccontato, in uno spazio gremito, il poeta Valentino Zeichen. Un viaggio in tanti anni di frequentazioni e condivisioni. Un’esperienza che ha rotto tutti gli schemi tipici delle presentazioni e degli incontri letterari. Poca accademia, tante storie, aneddoti e una moltitudine di poeti che hanno letto versi.
Nella serata un piccolo set allestito: poeti ritratti ed i fotografi che colgono l’eterno istante, una sorta di prolungamento della memoria dei versi declamati. Ma ecco l’imprevisto: mentre preparavamo il secondo incontro, Renzo Paris che avrebbe raccontato Amelia Rosselli, è arrivato il lockdown, clausura, per il Covid-19.
L’incertezza, il timore, il caos del momento non hanno fermato la passione per la poesia.
Del resto la poesia, per sua natura ed anche nostra fortuna si muove in varie direzioni e frequenta ambiti diversi. Una sorta di anguilla che può sopravvivere nell’acqua salmastra come in quella dolce.
Enopoetica è un progetto, una visione, un qualcosa di forte e condiviso, simile al germoglio che riparte accanto all’albero madre seccato dalla gelata. Nell’emergenza, pur di vedere la nostra idea progettuale, abbiamo usato i mezzi del momento, social, Whatsapp, Messenger, mail ed è nata “Enopoetica challenge”.
Non ci siamo arresi e questa esperienza la raccontiamo in questo libretto cercato, voluto, curato, amato perché generato dall’amore per la poesia. Siamo testimoni dell’epoca, dove tutto è condiviso, pubblico, con una moltitudine di amicizie sui social, anche se negli umani c’è una grande solitudine.
Siamo più soli, e questa solitudine spinge a cercare qualcosa di più profondo ed autentico, che scavalca lo “sbrilluccichio” della civiltà dei consumi di massa. L’uomo ha necessità di andare alla radice, di raggiungere in suo intimo per ricostituire un’autentica comunicazione con le cose e con gli umani: la poesia certamente è uno degli strumenti che aiuta questa ricerca. Mi ha toccato l’esperienza raccontata da una maestra sul suo spazio social in merito alla poesia. Paolo (alunno di Scuola Elementare) uno dei suoi alunni rispondendo alle domande Cos’è la poesia? Cos’è un Poeta? ha scritto: “La poesia è un giardino con molto vento”. “Il poeta è una mosca che tenta di attraversarlo”. La poesia, seppur con grande sforzo e difficoltà, è riuscita a ritagliarsi lo spazio, nella società industriale e massificata, caotica, veloce, che non ha tempo per le cose minime e belle.
Certo non può cambiare il mondo, sicuramente può aiutare l’uomo a ritrovare l’essenza di sé, può ricondurlo a momenti di riflessione sulla “realtà reale” e verso il rapporto con gli altri. Poesia sfogo dell’anima, condivisione per il bello, amore per i rapporti umani. Poesia è condivisione, poesia è trasformare ogni divisione in coesione, ed è con questo spirito nei giorni della solitudine e della clausura (Lockdown) che è nata Enopoetica Challenge. Ecco queste poche parole non debbono intendersi come una vera prefazione, del resto “L’unica prefazione di un libro è la mente di chi lo legge“ scrisse Fernando Pessoa.

Riflessioni e pensieri di Manuela Greco

Riflessioni e pensieri (per anime di oggi e di ieri)
Autore: Manuela Greco
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice, Nadia Puglielli
Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2020
Pagine: 58
EAN: 9788831380096
€ 10,00

Riflessioni di vita quotidiana, un libro adatto a tutti, piccole storie riflesse nella mente della scrittrice, esperienze vissute anche drammatiche ma descritte con leggerezza e ottimismo, la vita va vissuta intensamente, è un grande zaino da aprire nel momento di incertezze, un bagaglio sacro dove l’esperienza abbraccia l’emozione e la fantasia alleggerisce il dolore.
Dalla prefazione di Nadia Puglielli

Voci di richiamo di Alfredo Silvestri

Autore: Alfredo Silvestri
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Fotografia in copertina: Alessandro Gaetano Greyvision
Edizioni EscaMontage
Collana: Poesia
Anno edizione: 2021
Pagine: 66
EAN: 9788831380119
€ 12,00

Nella costruzione del verso, vi è insita la personalità e l’esperienza dell’autore che qui nei componimenti della raccolta “Voci di richiamo” assume multidentità, caleidoscopica relazione con i diversi e diversificati “metodi” di essere e fare poesia. […] Anche quando il suo fare poesia ha una lieve predilezione all’ermetismo, risultando per certi Versi ostico, comunque offre un interessante sviluppo che si trova in tutta la raccolta e nel componimento di chiusura, svela il suo “sentire” la poesia:
“Fuggo dove non ascolto/che flebile la mia voce/dove una stordente vibrazione/esprime il suo vociare fiera”

Dalla prefazione di Iolanda La Carrubba

AUTORI

Beppe Mariano

Espero, Esperella e la Luna

Tiziana Colusso
La pace dell’acqua (fiaba etrusca)

Antonella Rizzo
Romanesque

Giuseppe Spinillo
I poeti sognano pecore elettriche

Adonella Montanari:
L’anarchico solitario

Tiziana Colusso:
Il precipizio. Teatro delle voci per Donatella e Rosaria

Rosario Romeo:
Sette note di Natale

Giovanni Rossi:
Fantasie naturali

Diana Cavorso:
Immagini e sogni

Sabino Caronia:
In spirito ed in corpo

Giovanna Iorio:
Ora rischiara

Carlo Bernardi:
Emozioni e pensieri di versi

Irene Sabetta:
Inconcludendo

Silvia Bove:
Discreta la lontananza

Beppe Mariano

ESPERO, ESPERELLA E LA LUNA

Autore: beppe Mariano
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Xilografie: Tullia Ranieri
Edizioni EscaMontage
Collana: Fiabe d’Autore
Anno edizione: 2023
Pagine: 36
EAN: 9788831380195
€ 10,00

La fiaba di Espero, Esperella e la Luna è un viaggio intenso e singolare dove tra avventure e disavventure, i desideri si realizzano. Un’audace Stella birbante e curiosa che “si scopre ribelle: vorrebbe rivoluzionare l’intero sistema stellare. Tiene comizi qua e là. Sembra voler istigare anche le altre stelle all’insubordinazione”. Beppe Mariano accompagna i “bambini e gli adulti bambini” in un racconto straordinario, dove la sua fervida penna traccia le coordinate per raggiungere i propri sogni. Le Xilografie di Tullia Ranieri, vigorose e cinetiche, accolgono l’immaginazione e la trasformano in realtà.

Iolanda La Carrubba

Recensione a cura di Giovanni Lauricella

Espero, Esperella e la Luna sono tre fantasiosi personaggi frutto dell’incredibile immaginazione del famoso poeta e scrittore Beppe Mariano, che, nella sua lunga carriera, ha diretto e dato contributi a prestigiose riviste e avuto numerosi premi e riconoscimenti letterali.

Senza dilungarmi nella biografia di Beppe Mariano, per non ripercorrere la storia della letteratura italiana dagli anni ’60 ad oggi, mi soffermerò brevemente sulle caratteristiche della fiaba, che è intrigante come poche. Infatti la narrazione esplicita una ribellione al sistema solare. Un contenuto che volendo si potrebbe traslare sulle traversie che s’incontrano nella vita dove ci si scontra quotidianamente contro i meccanismi oppressivi che purtroppo la società produce. Un racconto fantasioso, ma che ha nel suo profondo una grande carica d’insegnamento sui compiti di quello che sarà la vita dei “bambini e gli adulti bambini”.

Fiaba connotata da una bellezza estetica particolare, che poteva creare solo un ben rodato scrittore come Beppe Mariano, cui si affiancano cinque stupende xilografie di Tullia Ranieri.

In trenta pagine trovi queste xilografie più una in copertina e due comete che arricchiscono visivamente il testo con molta efficacia. Sono monocromi neri su fondo bianco di notevole forza espressionista che Tullia Ranieri riesce a comporre con la laboriosissima tecnica della stampa xilografica, ottenuta come è noto con il faticoso uso del torchio. Chi è conoscitore della xilografia sa che è una tecnica “magica”, perché solo quando hai tirato la prima copia sai che cosa hai fatto, quindi è un lavoro che ti fa scoprire alla fine la validità dell’opera. Un procedimento che per parallelismo ben s’addice alla morale che alla fine si rivela della favola. Insomma in Espero, Esperella e la Luna le due andature, narrativa e fiabesca di Beppe Mariano e visiva simbolica di Tullia Ranieri, si accompagnano e si completano meravigliosamente.

Conclude la breve quanto interessante postfazione di Iolanda La Carrubba, libro  edito da Esca Montage, collana Fiabe d’autore, impaginazione di Valerio Di Gianfelice.

Per pubblicare con noi

Si valutano opere per la pubblicazione sia inediti che riedizioni senza limiti tematici. I testi dovranno pervenire esclusivamente per e-mail con nome, cognome, una breve biografia, una sinossi dell’opera ed eventuale linkopedia/bibliografia dell’autore.  

I testi saranno vagliati dal nostro Comitato di Lettura. In caso di valutazione positiva verrà inviata una risposta entro 2 mesi circa.

Gli autori delle opere che saranno ritenute idonee per la pubblicazione riceveranno una proposta di edizione, che prevede l’invio dell’Accordo Autore-Editore personalizzato in base alle esigenze reciproche. Il volume sarà impaginato e stampato nel numero di copie che sarà ritenuto più opportuno e verrà contrassegnato con regolare codice ISBN.

L’Accordo di edizione senza onori da parte dell’Autore comprende la correzione di bozze, la curatela, la realizzazione dell’impaginato. La copertina sarà realizzata dai uno dei vari artisti che collaborano con Edizioni EscaMontage. Inoltre l’Opera verrà segnalata a giornalisti, critici, premi e concorsi. È inoltre possibile realizzare: e-book, video intervista all’Autore, book trailer e audiolibro. La diffusione dei video realizzati avverrà su canali ufficiali in collaborazione con la casa editrice, nei siti di cultura e su diversi giornali online. 

A cura dell’editore sarà oltre la presentazione del libro anche la diffusione dei comunicati stampa.

Per info e contatti: edizioni.escamontage@gmail.com

Chiaro Inchiostro

di Massimo Pacetti

Chiaro Inchiostro

Autore: Massimo Pacetti
Edizioni Escamontage
Anno di pubblicazione: 2015
Prefazione a cura di Tiziana Marini

Free download:

https://www.mediafire.com/file/5t7fzwpuaamj8ud/Chiaro_Inchiostro_Massimo_Pacetti.pdf/file

“Chiaro inchiostro raccoglie i versi di Massimo Pacetti che esplorano con una panoramica intima: tabù, realtà, compromessi sociali e culturali. Un viaggio poetico in piano sequenza che rispecchia e riflette visioni tra esistenzialismo e beat generation, raggiungendo i diversi confini della propria interpretazione.”

(EscaMontage)

Breve nota biografica

Massimo Pacetti è stato scrittore, poeta, giornalista e fotografo. Impegnato politicamente, ha fondato la rivista della CIA Toscana “Dimensione Agricoltura”. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti letterari e nel 2012 ha vinto il premio di poesia Città di Livorno. , è stato premiato con il 2° posto al premio letterario Luigi Di Liegro ed è stato premiato al Premio letterario Farina

Linkopedia:

Sito della raccolta “Chiaro inchiostro”

Icon di Tiziana Marini

Neobar

EscaMontage Memories

Leggere tutti

Rivista letteraria “Lido dell’anima”

Edizione 2015 Film Festival Itinerante EscaMontage

PoesiCanzoni

Antologia AA.VV.

A cura di: Iolanda La Carrubba
Edizioni EscaMontage
Collana: Antologia AA.VV.
Anno edizione: 2017
EAN: 9788894108729
27,00 €
con cd audio a cura del cantautore Amedeo Morrone
con prefazione del musicologo ed antropologo Alexian Santino Spinelli
con i poeti:
Silvana Baroni, Paolina Carli, Alessandra Carnovale, Iole Chessa Olivares, Davide Cortese, Fernando Della Posta, Carla Guidi, Fausta Genziana Le Piane, Ugo Magnanti, Tiziana Marini, Anita Napolitano, Terry Olivi, Massimo Pacetti, Roberto Piperno, Lorenzo Poggi, Tommaso Putignano, Antonella Rizzo, Eugenia Serafini

Insoliti livelli di salute

Antologia AA.VV.

Insoliti livelli di salute

Curatore: Iolanda La Carrubba
Opera in copertina di: Stefano Salvi
Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2020
Pagine: 68
EAN: 9788831380034
10,00€

Gli “Insoliti livelli di salute” sono quelle condizioni umane che rappresentano anomalie del vivere quotidiano, situazioni che possono portare l’individuo a sentirsi come travolto da un effetto domino sconcertante, imprevedibile, destabilizzante. La poesia è uno strumento profondo in grado di trasmettere contenuti affatto semplici da comunicare, il suo linguaggio può diventare viaggio, voce corale che esprime una condizione interiore. In questa antologia si vuole affrontare una diversa descrizione dello stato di malessere, un percorso fatto di testimonianze, di scambio, di solidarietà, riflessioni sulle diverse anomalie del “corpo”.

Nuova Oz

di Davide Cortese

Autore: Davide Cortese
Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2016
EAN: 9788894108712
€ 12,00

Il libro, dal formato tascabile e con disegni dello stesso autore, è denso di storie immaginarie narrate come viste dagli occhi di un ragazzino; molti sono i ricordi dell’autore che sono l’interpretazione delle ansie tipiche del mondo giovanile, un mondo visto dal basso, pieno della sensibilità di un individuo alla scoperta del mondo, che è poi la vita.
Eppure non è un libro per bambini, anzi ha un linguaggio maturo e ben strutturato, con accenni poetici da consumato scrittore, lo rende quasi una rivisitazione a posteriori di un mondo svanito, al punto che sembra un racconto di abitanti di un altro pianeta, che forse un po’ tutti noi, indipendentemente dall’età, potremmo cimentarci a ripercorrere.
Davide Cortese con La nuova Oz ti pone di fronte ad un viaggio ad alcuni metri di altezza sopra le nuvole a esplorare quello che tutti noi, in una misura o nell’altra abbiamo vissuto, toccando vari temi del complicato rapporto che si può avere con le persone che ci sono state più vicine, in una trama di vicis

Gelati al pistacchio

di Luca Masculo Legato

Autore: Luca Masculo Legato
In copertina, computer art di: Iolanda La Carrubba
Pagine: 106
€ 12,50

“Nell’opera di Luca Masculo Legato ci sono confidenze e confessioni di una vita avida, atavica, intersecata all’interno di una rete/trappola del fare di tutti i giorni. Qui riesce a vivere non solo del suo lavoro fatto di stazioni e treni ma di un’esistenza che staziona agli estremi di ogni sua esperienza. Quest’uomo dei treni, vive apparentemente come tutti in attesa, tra una meta e l’altra, alienato nei circuiti di una società fallibile, ma conscio di essere ad essa alieno e mai avvezzo al fetore di quell’immondizia che occulta lo splendore terrestre. Nascoste tra quelle stesse scorie, respirando a narici poco sgombre, trova il passe pour tout per agire da ribelle, seppur “inaffidabile” poiché costretto dall’orario di lavoro a mettere in stand-by la sua missione d’oracolo part-time.”

(EscaMontage)

Fuoco dentro

di Luca Masculo Legato

Fuoco dentro

Autore: Luca Masculo Legato
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2018
Pagine: 78
EAN: 9788894355611
12,00 €

“Luca Mascolo Legato è un fine conoscitore delle pieghe umane, riesce a raccontarle con una scrittura diretta e poetica nello stesso istante. Con la sua penna o meglio con la sua tastiera, da significato a ogni singola parola facendoci sognare, immaginare, vedere le situazioni che si intersecano in questo racconto sublime. Il nostro autore nonostante l’uso inconsueto della penna (a volte infatti spiazza, adoperando o meglio sovvertendo le regole grammaticali) risulta essere leggero e profondo in un continuo equilibrio tra prosa e poesia. Proprio questo suo modo di scrivere conquista il lettore, affascina la mente.” (dalla prefazione a cura di Emiliano Scorzoni)

Dalle parti di Cicchetti

di Luca Masculo Legato

Dalle parti di Cicchetti

Autore: Luca Masculo Legato
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
In copertina opera di: Mario La Carrubba
Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2019
Pagine: 151
EAN: 9788894355666
13,00€

“Il significato del suo errare narrativo (a volte volutamente erroneo) lascia segni significanti. Qui la scrittura impetuosa, voluttuosa e in alcuni istanti distopica si acquieta, divenendo emozionante quando affronta terremoti, tormenti, solitudini fatti di distanze. Viaggia nel tempo (è la mente la vera macchina in grado di farlo) e Luca, il Masculo, Legato alla ‘sua’ terra, viaggia con la mente e divora le briciole dei ricordi adesso tratti, non da una storia vera, ma da più storie con verità parallele.” (dalla prefazione a cura di Iolanda La Carrubba)

Discreta la lontananza

di Silvia Bove

Discreta la lontananza

Autore: Sivia Bove
Curatore: Iolanda La Carrubba
Illustrazione in copertina di: Davide Cortese
Edizioni EscaMontage
Collana: Plaquette poetica
Anno edizione: 2017
Pagine: 14
EAN: 9788894108774
€ 10,00

“E’ “discreta la lontananza” per Silvia Bove nelle sue poesie brevi, composte da una lirica palpitante con un ritmo assorto, arcaico e complementare ad un esistenziale ed essenziale sentire. Il viaggio di questa lontananza discreta, ha una matrice misterica che sovente sfocia nel complesso UniversoMondo della poesia ermetica. La forma dialogica diviene confessione, confidenza che contempla il superamento di un Io solipsistico il quale si fa promotore e portavoce del coraggioso tema affrontato dalla colta penna di Silvia Bove. Il suo non è un andare nell’oblio, ma è un costante andamento anaforico, audace, colmo di pathos.”

Inconcludendo

di Irene Sabetta

Inconcludendo

Autore: Irene Sabetta
Illustratore: Alessio Marzilli
Edizioni EscaMontage
Collana: Plaquette poetica
Anno edizione: 2018
Pagine: 24
EAN: 9788894108798
€ 10,00

Una, nessuna e centomila, l’autrice cambia voce e registro da una poesia all’altra, veste i panni dell’affabulatrice sperimentale (“Vorrei non-essere altamente non contemporanea ma un po’ di differita…”) o dell’espressionista dark (“Laggiù dove tutto è oscuro/palude di grumi”); si libra in erotismi astratti (“mirabili follie e pensieri sani/s’accasciano nel mezzo/del mio letto”); si cimenta in una medicina interna insieme allegorica e concreta, dove agiscono personaggi chiamati fegato, colonna vertebrale, virus, stomaco e succhi gastrici. (dalla prefazione a cura di Tiziana Colusso)

La dolente indolenza della contemporaneità: Inconcludendo di Irene Sabetta
di Anna Maria Curci

Nel segno del «dilemma del prefisso», Inconcludendo, plaquette di  Irene Sabetta, acquista vigore là dove la forma poetica diventa epifania di ciò che vorrei chiamare ‘la dolente indolenza della contemporaneità’. È allora che, liberandosi dai grumi e dai tic incontrollati del tributo, la forma, divenuta più sorvegliata, sa fondere, di-vertire, mescidare e fecondamente mutare di senso e funzioni fenomenologie del quotidiano e incontri letterari – anch’essi, per molti versi, parte integrante del quotidiano dell’autrice, insegnante di lingua e letteratura inglese –, tanto da giungere a creare una interessante mitopoiesi, insieme familiare e straniante. In quale tempo, su quale schermo – o schermati da che cosa – si incontrano high tech e urna greca, Facebook e John Keats,  da quale sistema binario (autopoietico?) spunta, sgorga, rompe gli argini il binomio «verità-bellezza bellezza-verità»?  Il riferimento all’ora del tè non è soltanto, allora, un inchino – irriverente riverenza – a Lewis Carroll, ma si avvale di una formidabile ‘addizione’ etica. Se la parola “addizione” sia da interpretare come aggiunta o se essa sia imparentata all’inglese ‘addiction’, a una qualche forma di dipendenza, resta una questione aperta, e l’uscio è lasciato socchiuso da colei che scrive. Certo è che questa ‘addizione etica’ è  irrobustita dal richiamo non esplicito, ma avvertibile da chi ne voglia cogliere gli indizi, a quel passaggio di Aqualung dei Jethro Tull, che già nel 1971 denunciava la ‘dolente indolenza’ delle magre azioni civili: “salvation à la mode and a cup of tea”.

Poetarumsilva

I VERSI FOSSILI DI IRENE SABETTA
di Tarcisio Tarquini

“Inconcludendo” è il titolo della plaquette poetica di Irene Sabetta ed è anche il titolo del componimento che ne costituisce il centro (almeno nelle intenzioni dell’autrice, a me non pare così certo): una dichiarazione di poetica, la constatazione del punto d’approdo di una ricerca, un ammiccamento rivolto a chi legge per suggerire che altre letture, oltre quella appena conclusa, sono possibili perché ogni poesia è per suo status inconclusa e l’inconcludendo è perciò la condizione necessaria per non placarsi nella compiutezza illusoria di una forma.
Lo nota la prefatrice della pubblicazione (Edizioni EscaMontage), Tiziana Colusso, che parla di camaleontismo, di “uno nessuno e centomila”, di personaggio che si cerca e di una dimensione lirica che rinnova continuamente la sua definizione. Basta scorrere i versi, poesia per poesia senza pause, in flusso continuo, come fossero le strofe di un solo poemetto, per essere costretti a cambiamenti di prospettiva, a salti di andatura, a distensioni – ora ampie, più spesso frantumate – del ritmo, al quale chi legge si affiderebbe volentieri sapendo che per questa via un senso prevarrebbe alla fine sugli altri, smentendo, però, in questo modo, il gioco che resta sotteso – e che è il vero testo poetico con cui confrontarsi e da decifrare – e cioè il rifiuto della conclusione.
Irene, in realtà, ha un’idea di poesia, di stile e di vita da eleggere come simbolo, la confessa in “Emergency” dove, nell’esordio, dice “ mi sembra/di essere in via di estinzione”, e dopo aver passato in rassegna le parti e le fasi della sua scomposizione corporea e psicologica, invoca la solidarietà, o il gioco, o la finzione degli altri per sottrarsi a una dissolvenza, fino a essere tentata – nell’uscita – dal fissarsi nel “benessere del fossile”, che è appunto vita, ma anche scrittura, che ha trovato la sua fissità definitiva, la testimonianza che dell’una e l’altra resta in eredità al futuro, grazie a cui interrogare la storia inconclusa del vivente. Ciò che cerca Irene, dunque, è un verso fossile, è una poesia fossile, testimonianza della consunzione dell’esistenza e del linguaggio, che si condensa in mille figure – nel suo caso in mille forme (i tanti registri e timbri notati dalla Colusso). Quelle che a me paiono le più convincenti le trovo nei componimenti “intimi”, dove è ancora percepibile un calore lontano di vita privata e di lingua (“Albergo”, “Growing Up”, “Incontrosensi per strada”,“Non qui non ora”), sottratto al processo di disseccazione totale che sovrasta tutta la “plaquette”. Ne può nascere una confusione, ma invece da qui trova forza la poetica autentica della poesia di Irene, quella dei “Rammendi invisibili”, titolo della composizione nella quale, secondo me, è racchiusa l’essenza della raccolta, e che forse meglio ne sintetizza il complessivo significato: una ricerca piena di illuminazioni, ognuna delle quali è la lacerazione di un linguaggio e di una vita che si ricompone in un’unità rammendata: una poesia rammendata, come tutte le nostre esistenze e come tutti i linguaggi della nostra contemporaneità (declinati nell’elenco febbrile di “ContemporaneaMente”), ma che si nobilita nell’umile fatica di rammendarli con i sottili fili dello stile.

Neobar

Libro classificati al Premio Internazionale Franco Fortini

Emozioni e pensieri di versi

di Carlo Bernardi

Emozioni e pensieri diversi

Autore: Carlo Bernardi
Illustratore: Mario La Carrubba
Edizioni EscaMontage
Collana: Plaquette poetica
Anno edizione: 2018
Pagine: 13
EAN: 9788894108781
€ 10,00

Questa plaquette è un percorso che ha accompagnato il lavoro, l’impegno sindacale e quello politico. La poesia non dovrebbe essere solo il frutto della sofferenza personale e dell’amore, ma esprimere anche la felicità e la gioia di vivere. Alla mia città dedico i versi di Caput Mundi e altri dedicati a tutti quelli che soffrono e scappano dalle guerre e dalla miseria e giungono stremati o muoiono sulla terra o nel mare.

(dalla premessa dell’autore)

Ora rischiara

di Giovanna Iorio

Autore: Giovanna Iorio
Traduttore: Rose Sneyd
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Illustratore: Aida Maria Zoppetti
Edizioni EscaMontage
Lingua: Italiano/Inglese
Collana: Plaquette poetica
Anno edizione: 2019
Pagine: 22 p.
EAN: 9788894355673
€10,00

“Vicende di casa e di strada, di parole concernenti il voyage che prima d’essere scritte si scrivono. L’invisibile sotto di me è la faccenda indicata da Giovanna come se niente fosse, come se il mondo non si esaurisse. Questo far finta di niente riporta a galla luoghi fantastici e universi in cui poter vivere. Una specie di tributo stemperato in poche pagine, ma bastanti a tenere in vita giochi infantili e giochi adulti con la sempre presente apprensione che il rifugio venga stanato e scomposto”. (Dalla prefazione a cura di Elio Grasso)

Traduzione a cura di Marilyne Bertoncini

Préface d’ Elio Grasso

On pourrait parler des éventuelles différences entre exotisme et ésotérisme, c’est possible, sans affoler nos esprits déjà mis à rude épreuve, ou du moins irrités, dans notre ère unidimensionnelle. Des décrets absurdes nous y ont amenés Mais la poésie devrait se tenir à l’écart, tout au plus se contenter de traverser les siècles voire les millénaires, se contenter des pyramides égyptiennes et aztèques ou, par exemple, de la traduction de l’Odyssée par Emilio Villa. Et à ce point,  j’ajouterais  l’introduction de Giorgio Manganelli aux poèmes de Giulia Niccolai dans le lointain, mais pas très lointain, 1981. Le lointain ou le proche sont perçus différemment selon les générations. Attention, j’appartiens à la génération à laquelle peut plaire l’odeur de la poudre  et même générer des étincelles de bonne qualité. Certains diraient « procédons dans l’ordre », mais là ce n’est pas possible, il ne s’agit évidemment pas de lectures désordonnées c’est clair, tout au plus de lectures quotidiennes vaguement improvisées comme quand on promène un  chien, et ce qu’on appelle hasard prend l’initiative. Les allusions à certains écrivains, cependant, ne sont pas accidentelles, ni l’attaque de cette note. En se promenant, on peut goûter à différents types de sols, surtout si on habite à la campagne, où certaines formations rocheuses sont vraiment dépaysantes. Elles inspirent des pensées clairement ésotériques, orientées vers quelque chose de spirituel. Des formes extérieures exotiques, car nous y portent des lectures d’enfance, quand un père posait Cristal Pensant de Sturgeon, La Cité,  de Simak et les Chroniques martiennes de Bradbury sur la table de chevet. Quel est le rapport de tout ceci avec la poésie, avec la lecture des fragments (je ne sais comment les appeler autrement) de Giovanna Iorio ? La diffusion des pensées à un certain âge permet de voyager dans le temps, de voir des choses qui ne se sont pas encore produites ou de retrouver ce qui semblait perdu dans un passé lointain. Et on  tombe follement amoureux des scènes bien faites, de pages qui se laissent feuilleter comme des papillons au bord de l’eau, tant que le temps nous portera vers des époques futures où tout est prêt, et réuni, pour l’aventure. Voilà un excellent point de départ pour cultiver la pertinence visuelle et concrète des noms cités et de l’auteur du livret ici présent. Désormais le futur est devenu contemporain, plus adulte peut-être (probablement pas), et il nous permet donc de faire des allers-retours sans nous soucier de technique, pour apprécier les merveilles jadis prophétiques qui,  aujourd’hui indiquent autant de  cartes, de feuillets volants,  doté d’une réelle vivacité. Incidents domestiques et du quartier, discours de voyage qui s’écrivent avant même d’être écrits. L’invisible en dessous de moi est la façon dont Giovanna indique ce qui semble ne pas s’être passé, comme si le monde était inépuisable. Cette façon de feindre que rien ne se passe fait ressurgir des lieux et des univers fantastiques dans lesquels on pourrait vivre. Une sorte d’hommage à petites touches en peu de pages, mais suffisantes pour maintenir vivants les  jeux d’enfance et de la mâturité avec toujours la crainte que le refuge ne soit débusqué et détruit. Le livret que vous lisez pourrait-il être sentimental ? Ou la subtile introduction à une méditation vespérale,  en robe de chambre, en attendant une nuit propédeutique ? Questions posthumes. L’autrice a sans doute pris grand soin de ne pas les poser, tandis que les délicats rouages ​​de son esprit tournaient délicatement sur eux-mêmes. Dans chaque élément,  un secret, rien à quoi s’attacher, juste un vague soupçon de détachement curatif, la simple indication de géographies rares et de dates calendaires tenues cachées mais perceptibles encore. Car,  tant que l’univers continue de s’étendre, quelque chose qui a eu lieu continue de propager son propre rayonnement. Mais à quel point une tasse de café dont le liquide ressemble au ciel est-elle ésotérique ? L’interrogation reste figée dans le fragment, enrichie par le regard peut-être un peu inquiet, mais claire comme le flanc d’un navire sous les tropiques. Ce sont elles, les ailes parfumées de la femme-papillon quand elle se posent sur le papier sans jamais se demander combien de temps elles vivront au soleil avant de racornir. Il y aura tout au plus un rayon de poussière chaque fois que nous sentirons la solitude affamée nous mordre, et que les voitures traverseront la desolation row qui évoque Dylan. Des poussières toujours, voyez-vous, puisque ceux de mon âge sont émus devant de belles nouvelles générations comme s’il n’y avait pas de Docteur Bloodmoney et autres dystopies qui ne font pas rire. Qui sait si les jeunes savent ce que signifie Bikini, en plus du fameux maillot de bain. Pendant ce temps, la femme papillon ferme les yeux et sent la mer. Tout se tient quand on lit l’article en question. La lumière change les contours des pensées. A bien y réfléchir, c’est justement la lumière qui transforme les 26 fragments en mémoire, une lumière qui éloigne les poisons de l’espèce, au prix même de quelques éclairs nostalgiques, et on imagine toutes les inventions dont j’ai parlé plus haut : reprise de récits d’enfance quand surgit le nouveau avec de petites touches et quelques coups de coude. Nous ne résolvons pas le mystère, tout comme ce fin livret (fin dans tous les sens) : cela n’aurait aucun sens pas plus que de décrypter l’horaire des trains. L’horaire et les 26 fragments sont utiles, chacune à sa manière. Il me semble y voir une série de cas délibérement posés là, car il est vrai qu’on ne jette jamais rien, et il est vrai aussi que la poésie se trouve dans les coins des livres et des maisons, dans les bibliothèques paternelles et les auteurs qu’on ne cessera jamais d’aimer. Alors amusez-vous à trouver vos plaisirs dans le livret de Giovanna, même parmi les astérisques placés entre un fragment et le suivant. Il est probable que se trouvent là les mouvements d’ailes les plus intéressants de la femme papillon. Parce qu’ils sont là pour unir toutes les distances.

……

peut-être cette pensée tortueuse voulait-elle finir chemin s’éloignant vers la maison de pierres lisses où le bruit des choses est plus doux

*

si je ferme les yeux je ne suis plus dans cette pièce j’écoute les os de la maison je blanchis lissée par la lumière elle coule sur les choses et sur ma voix si je ferme les yeux

*

mon coeur est fatigué le bruit d’une goutte d’eau dans une gouttière il pourrait mieux faire que ce petit ongle qui gratte à la vitre demandant à sortir demandant à entrer

*

sur la table une fine tasse bleue pourrait être le ciel je pose mes lèvres sur le précipice et reste suspendue au-dessus des sons

*

Je suis venu attendre dans une église la seule maison ouverte à part un bar et je n’ai pas faim dehors il y a le bruit des voitures qui roulent qui sait où si je ferme les yeux peut-être qu’on entend la mer la lumière rayonne à travers des vitraux en ogive et change le contour des  pensées, le visage des saints maintenant s’illumine

*

aujourd’hui je roule lentement et regarde les choses s’écoulent rapides à côté de moi et en moi il y a une lenteur dans le coeur une paresse peut-être ainsi le corps guérit-il un vaisseau à l’ancre du regard, je reste mêlée aux choses un faucon me suit je vois son ombre sur l’asphalte je roule lentement

*

oisive et blanche une rose ignore l’orage imminent j’étais sorti tant de sommeil dans ton cou penché je dois me libérer de ces images quelque chose accourt du fond même des choses je suis un enfant qui joue de la flûte parce que chaque instant terrestre est un carrefour ô sainte aux mains brûlées ravivées apprends-moi à réciter au hasard les vers d’Yves Bonnefoy

*

le parfum subtil des ailes de papillon sur mes doigts j’avoue ne pas croire au temps signes cachés de tapis magique deux parties différentes du dessin et qu’ils trébuchent  les visiteurs de toute façon la plus grande joie de l’absence de temps est de trouver papillons et plantes rares et l’extase autre chose encore difficile à expliquer ne faire qu’un avec le soleil et la pierre et le vent qui feuillette Nabokov

*

nous avons une seconde mémoire dont le fil court le long des heures d’ivresse une paire de pantalon et une chemise déchirée comme le long d’une chaîne incandescente le vin est le symbole du sang les vignes de  Lumbarda  s’enracinent dans la terre sablonneuse la poussière nous avait desséché la gorge le satyre préfère des scènes comme celle-ci il y a des situations dans lesquelles le sens profond des mots les plus familiers devient soudain manifeste contient le merveilleux ne suscite en nous nulle surprise elles sont toujours vivantes les îles mères des Héros elles refleurissent chaque année

*

tu t’aperçois au son de ces mots que le temps est fêlé devant le ciel s’entrevoit un autre ciel intact il ne reste qu’à retirer des couches à l’air immobile son après son révéler la muette étendue du sens providentiel arrive l’écho d’un tonnerre

*

le bruit ténu de l’herbe le soupir d’un portail la rêverie d’une clôture les yeux doux d’un troupeau soudain la course du temps trébuche sur les trous noirs des lièvres

*

un ange est tombé au milieu de rien le ciel s’est évaporé sont restés les poissons au fond d’un verre salés les yeux de  qui désarmé regarde les ailes sans vol un homme vêtu de noir recueille une pluie blanche dans un chapeau il offre des plumes aux passants il écrit sur les murs

*

un renard dort dans l’obscurité des os fragiles le silence est hirsute il a la fourrure rousse d’un animal sauvage

*

ne trompe pas le temps tu dois lui montrer le chemin la route qui avance tu ne dois pas le laisser revenir en arrière  il m’a suivi et maintenant il joue dehors avec la dernière lueur du jour il dénoue les rayons du soleil entre les vieilles maisons comme une tresse

*

écoute la nuit enfermée dans une noix elle sonne comme une coquille qui tombe dans le vide

10 11

ma grand-mère l’appelait le soleil malade un feu-follet presqu’éteint dans le miroir d’un lac j’ai envie de le sécher avec un chiffon et de le replacer dans le ciel soleil guéri. La lumière se dissout sur mon ombre la vie est cette tache sur le mur témoin de notre disparition

*

blanche est la couleur du temps vous avez  bien fait le vide est désirable les pensées n’ont plus de poids et rien ne se passe l’expérience de la nuit n’a pas besoin de gravité je suis la plume qui accompagne la pierre tombant ensemble cherchant le fond du jour

*

A la couleur sombre des roses on comprend que l’hiver a des épines le jour rampe dans la roseraie avec sa couronne pauvre christ

*

si je n’avais pas eu de seins je t’aurais nourri de rosée aurais mis le vert d’une feuille sur tes lèvres mais le lait est blanc pour une raison que l’on ignore à sa candeur on confie le cri dans le berceau

*

et si demain le monde cessait d’exister sauf le ciel et les hirondelles je serais le fil qui balance d’un néant à l’autre je joins les distances

*

12 13

maintenant je peux unir l’invisible sous moi le souffle d’un poisson qui effleure les rochers un vieil os et un crabe recule et me montre un fragile mécanisme le souvenir fermer les yeux prier à l’envers

*

et si je vivais parmi ces fleurs jaunes et si je respirais au rythme des buissons j’ai trompé un papillon le plus ingénu de tous m’a effleuré l’épaule

*

il y a une fête de grillons le long du chemin et le monde se tait les pierres sont chaudes n’en dérangez pas le chant traversons le en silence

*

se fige la voix au dernier hiver

Fantasie naturali

di Giovanni Rossi

Fantasie naturali

Autore: Giovanni Rossi
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Illustratore: Fernando Della Posta
Editore: EscaMontage
Collana: Plaquette poetica
Anno edizione: 2019
Pagine: 28
EAN: 9788831380010
€ 10,00

“L’ossigeno generato dagli alberi si mescola al respiro di chi lo attraversa e le immagini di creature umane e vegetali si fondono senza soluzione di continuità. La compenetrazione di sentimenti e foglie, di desideri e germogli, di ricordi e bacche rosse è tale da riunire i due soggetti in questione, l’umano e il naturale, in un indistinto flusso energetico.” (Dalla prefazione di Irene Sabetta)

SETTE NOTE DI NATALE

di Rosario Romeo

Sette note di Natale di Rosario Romeo

Autore: Rosario Romeo
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Illustratore: Joe Zad
EdizioniEscaMontage
Collana: Plaquette poetica
Anno edizione: 2020
Pagine: 20
EAN: 9788831380041
€ 10,00

«La poesia di Rosario Romeo è genuina, volutamente semplice, legata alla spensieratezza dell’infanzia. Gioca con le rime e agile ironizza sugli episodi natalizi che usa come metafore pungenti. Divertito e divertente non trascura di narrare brevi fiabe adatte ai bambini di tutte le età». (dalla prefazione di Iolanda La Carrubba)

IL PRECIPIZIO. TEATRO DELLE VOCI PER DONATELLA E ROSARIA

di Tiziana Colusso

Il precipizio. Teatro delle voci per Donatella e Rosaria di Tiziana Colusso

Autore: Tiziana Colusso
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
In copertina opera di: Silvana Baroni
Edizioni EscaMontage
Collana: Plaquette teatro
Anno edizione: 2020
Pagine: 32
EAN: 9788831380065
€ 10,00

“Questo testo è per me il ritorno alla scrittura drammaturgica, sia pure sui generis e forse di difficile traduzione scenica. La partitura teatrale si presenta spontaneamente quando si tratta di ascoltare e trasmettere le molte voci che si accavallano intorno a un evento complesso e si dispongono in una polifonia. Il massacro del Circeo, perpetrato da tre rampolli dell’alta borghesia romana, appartenenti alla destra eversiva degli anni 70, induce a riflessioni che coinvolgono etica, politica, devianza psico-patologica, rapporti di classe oltre che rapporti uomo-donna, proprio negli anni dell’esplosione del movimento femminista. Per questo non lo si può liquidare come un semplice fattaccio di cronaca nera. È un “fattaccio brutto” ma soprattutto uno “gnommero”, per usare una parola gaddiana, un gomitolo di cause e concause, una rete che di nodo in nodo si fa larga a catturare le storie individuali e collettive”. (Nota dell’autore)

Nota di Claudiléia Lemes Dias

«Eravamo guerrieri, quindi stupravamo, rapinavamo, rubavamo»
Angelo Izzo

Nelle poche frasi riportate dagli assassini del Circeo nella plaquette Il precipizio: teatro delle voci per Donatella e Rosaria, l’autrice Tiziana Colusso ci offre un ritratto magistrale della forma mentis psicopatica: Donatella e Rosaria sono nient’altro che strumenti a servizio di un piacere sadico che trova nel massacro del corpo femminile il suo massimo godimento. Nella mente degli assassini del Circeo il sangue femminile versato rappresenta il passaggio dalla condizione di guerrieri a Re indiscussi del male: quale altro essere umano sarebbe capace di violare, seviziare e uccidere una donna con la massima crudeltà come loro? Ecco quindi l’auto incoronamento in quanto uomini sui generis, particolari e speciali.

Ridere e scherzare mentre Donatella e Rosaria «dormono» all’interno di quell’utero di lamiera, come descritto da Tiziana Colusso, dimostra il livello di serenità degli orchi che una volta sbranate le vittime abbandonano momentaneamente la tensione per rilassarsi sopra lo spettro del dolore recato.

Innalzare l’asticella di sadismo man mano che avanzano nella carriera criminale è il naturale percorso di questo tipo di personalità, eternamente in lotta contro le regole sociali e contro i principi che ci rendono umani.

Per lo psicoanalista e professore argentino Juan José Ipar i perversi si vedono come persone esuberanti e furbe. Sade si domandava sull’utilità di vivere frenando gli impulsi ignobili e malvagi: la cosa migliore e più facile per lui era sfogarli e poi usare l’intelligenza per sfuggire alla pena. Così come il cristiano cerca di imitare Cristo come esempio estremo di sottomissione alla Legge e alla mansuetudine, il perverso gode nella trasgressione e nella ribellione contro tutto ciò che è istituito e ritenuto socialmente prezioso.

Il perverso appare nei suoi racconti come colui che è “coraggioso”, l’unico che osa andare alla ricerca del piacere nei luoghi in cui suppone sia la sua fonte, cioè, nella malvagità. Avanza trionfalmente, come affermato da Ipar, per salvaguardare la sua personalità “esclusiva” sorreggendola su basi contorte.  

Padrona di un linguaggio poetico seppur tolto dai freddi e distaccati articoli della cronaca nera, Tiziana Colusso riesce a catapultarci in quel porta bagagli nel quale Donatella lotta per tornare tra noi, ricoperta dal corpo esamine di Rosaria.

Tutte noi donne eravamo lì con loro, perché a tutte noi è stato insegnato a non camminare per strade buie, a non accettare passaggi da sconosciuti, a non vestirci in una certa maniera, a non dire parole sconvenienti, a essere delicate e non comportarci come dei “maschiacci”, a non fare questo e quello se volevamo essere considerate “brave ragazze”.

E la vox popoli, come ci ricorda l’autrice, sa essere impietosa con chi sfugge alle ferree regole dettate unicamente a noi donne. Avranno una corazza protettiva, gli uomini, per riuscire a camminare tranquillamente per una strada buia senza paura che i loro corpi vengano violati e straziati dai loro simili? No. Eppure la vox popoli condanna Donatella e Rosaria per il fallimento dell’istinto di scappare sempre e di non fidarsi mai, come tuttora accade alle donne che osano accettare da presunti “bravi ragazzi” quei gesti gentili che si rivelano trappole fatali grazie a maschere perfette.  

Non c’è posto per la delicatezza quando si precipita e la caduta di Donatella e Rosaria è stata violenta e bruttale quanto violente e bruttali sono state le parole dell’avvocato di Izzo riportate dall’autrice: «I tre giovani non volevano uccidere la Colasanti. L’hanno colpita in testa ma non è uscito neanche un po’ di cervello.», come a dire che l’apice della violenza non era stato del tutto raggiunto da quei tre “bravi ragazzi” cultori della musica classica e più preoccupati di sapere se la carne di maiale si accoppiava bene con un Chateau Montbrian blanc.

Il precipizio: teatro delle voci per Donatella e Rosaria di Tiziana Colusso andrebbe messo in scena al più presto per fare da anticorpi a tante piccole e delicate farfalle che svolazzano leggere a ridosso di piante carnivore nate per divorare la loro bellezza e esistenza.  

Riflessione di Stefania Porrino

Cara Tiziana,
ho letto il tuo testo: intenso e ben costruito con l’alternarsi dei vari piani di narrazione e di linguaggio in una visione non cronacistica ma direi “cubista” del terribile fatto di cronaca che sconvolse a suo tempo anche me adolescente (Andrea Ghira frequentava il mio stesso liceo Giulio Cesare ed era amico di una mia compagna di classe che di lui diceva sempre: “è tanto dolce!”…).
Come dice nella prefazione la Cucchiarelli, si legge tutto d’un fiato e forse l’unico appunto che ti faccio è la brevità! Può senz’altro funzionare così com’è, come “corto” teatrale ma ti suggerirei di pensare ad un’altra versione più ampia in cui emerga anche il momento – importante nell’ottica del tuo testo e a cui potresti dare appunto più spazio – in cui le due ragazze cadono nel tranello.
In attesa di rivederci “in presenza” ti faccio tanti auguri per un Natale sereno e un 2021 migliore (non ci vuole molto!) del 2020!
Stefania

Recensione a cura Plinio Perilli

“… la ragazza rinasce donna
dall’utero di lamiera… “

Per Tiziana Colusso
che onora, rispetta e orchestra
tutte le voci da cui veniamo,
che ci abitano, si affollano,
inscenandosi ci contaminano:
ma proprio così ci salvano.

   Voce adolescente degli anni ’70 (l’autrice in sé medesima), la voce scomoda (Donatella Colasanti), la vox populi (che aggrega il Coro); e poi la voce di Circe, la voce degli scalatori, le voci assassine, altri echi di voci…

   “Ricordo che durante il viaggio verso Roma scherzavano: ‘Silenzio! Qui ci sono due morte’. E nel mangianastri avevano messo la colonna sonora dell’Esorcista“…

   Tiziana Colusso fa teatro delle voci, e con le voci, che le appartengono, torna sul c.d. Massacro del Circeo (29-30 settembre 1975) e ne ricava, tra flusso di coscienza e collage giornalistico, requisitoria giudiziaria e dibattimento antropologico culturale, impennata poetica ed agnizione culturale… un perfetto spaccato dell’Italia di allora, e che ancora – ahinoi – rischia di esserci radice, se non fossimo bravi, viceversa (e ci proviamo sempre, da sempre), a liberare anticorpi, a vaccinarci, autoimmunizzarci in proprio, a fare di quell’evento atroce un insegnamento perenne, un rito macabro ma rivelatorio, una inscenatio a futura memoria (Tiziana Colusso, Il precipizio, “Teatro delle voci per Donatella e Rosaria”, edizioni EscaMontage, Roma, 2020, pp. 28. Euro 10,00):

   “… È anche grazie a Donatella che noi oggi sappiamo nominare l’orrore… Lei e Rosaria, due cucciole cadute nella trappola per segnare, come in una via Crucis, il cammino di tutte le donne, loro che non avevano saputo annusare l’odore del pericolo.” 

   Con estro e culto di ogni malessere intellettuale (di più: martirio civile), Tiziana riesce a miscelare, catalizzare e chiamare ancor oggi alla ribalta queste voci di allora ma forse anche di sempre, a partire dalla voce scomoda di Donatella, ma soprattutto dalla sua voce “adolescente degli anni ’70”, che a questo punto diventa, in traslato e reperto diacronico, sia la buona che la cattiva coscienza del nostro irredimibile Paese senza, eh, sì, dixit Arbasino (il dialogo è serrato – il teatro concreto se ne riempie: e non è assolutamente scenario per metaforici teatri dell’assurdo), ma fondali e grandi campi o scenari battagliati per un’ardua, ribaltata crescita d’un paese modernamente medioevale a paese faticosamente civile…

   La renovatio, l’immagine desolatamente epocale, certo, è un dolore; ma anche un grido inarginabile e disperato, il groppo in gola agguerrito d’un ripetuto (e ribaltato) silenzio delle innocenti:

   “… in quel volto stravolto e coperto di sangue di Donatella che viene estratta dall’auto c’è un mito di rinascita, nel sangue nuovamente la ragazza rinasce donna dall’utero di lamiera, e rinasce per dire, per testimoniare, per far risuonare una voce di donna fiera anche se provata, per scoperchiare un verminaio da cui vien voglia di distogliere lo sguardo e l’ascolto… È anche grazie a Donatella che oggi sappiamo nominare l’orrore…”

*******

   Tiziana Colusso è assai abile e perspicua a far teatro con la realtà – ma evitando, aggirando dunque i rischi del nudo, post-verghiano e anticato verismo, o peggio le incombenze d’un orecchiato, imitato neo-neorealismo (basterebbero le tante, troppe e affettate fiction televisive o gli epigonali stilemi pseudo cinematografici), al servizio della interminabile, immarcescibile cronaca di ogni morte annunciata, e forse qui, una volta tanto, giubilata in destino archetipico, sentenza progressista:

   “… Ricordo bene, nonostante la mia astrazione di adolescente, la divisione di Roma per quadranti. Corso Trieste Parioli, Piazzale delle Muse, tutti luoghi segnati da bandierine fasciste. Eppure io ci vivevo, in quelle zone, nella maniera e destino miei peculiari di non coincidere mai con tempi e luoghi, di essere sempre leggermente fuori fuoco. Semplicemente vivevo con la mia famiglia in un ‘alloggio ufficiali’ di una caserma dei Carabinieri, luoghi spartani che poco avevano a che vedere con il lusso dei caseggiati ottocenteschi e delle villette coperte d’edera, con le macchine sportive parcheggiate sfacciatamente di traverso.”…     

   Ricorre e fa da fulcro un sostantivo, un’intuizione eminentemente gaddiana, lo gnommero: a significare l’intricato gomitolo delle cause e concause, delle colpe e dei sensi di colpa, dell’inconscio collettivo, che, junghianamente, è affollato di fin troppi io, ciascuno riflesso della parvenza, dolenza a specchio dell’altro…  

   “… Nello gnommero del mondo nessuna storia è separata dalle altre, nessuna creatura ha più o meno valore di un’altra creatura.”

   E mi piace che proprio da un autore donna sbocci – dolore sublima dolore – tutto il retaggio arcano e la nefasta incomprensione da parte delle cattive madri, più frequenti forse, e ahinoi madornali, fatali, di quelle bravi; capaci come sono di (dis)educare i figli secondo pessimi principi, borghesucci privilegi, perfetti parafulmini di ogni ignominia, schermo d’insipienza e negligenza assoluta: in sintesi, forma mentis criminale, feroce poetica e banalità del Male:

   “… Le madri, già… la mattina dopo ‘il fattaccio’, di buon ora per cercare di prendere in contropiede il destino, la madre dell’ottimo e già latitante Ghira si è precipitata nella villa con l’intento – per fortuna sventato dai carabinieri che l’avevano preceduta – di cancellare il angue da pareti e pavimenti. Un gesto che da solo è favoreggiamento aggravato, oltre che tradimento della sorellanza tra donne. C’è donna e donna. Ci sono anche le madri di avvoltoi, nutriti sin nella culla con manicaretti e mors tua vita mea.” 

   Perché qui tutto dunque diventa antidoto, e scienza dell’enigma, sacramento d’ogni ombra lunga che, isolata, non può o non potrà mai più lederci: “La presa di coscienza dell’ombra è il lavoro iniziale dell’analisi. Trascurare e rimuovere l’ombra, così come identificare l’io con essa può condurre a pericolose dissociazioni. Poiché l’ombra è vicina al mondo degli istinti, è indispensabile tenerne costantemente conto.” (cfr. C.G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, a cura di Aniela Jaffè, Rizzoli, Milano, 2014).

   Ma tutta questa pièce è una polifonica presa di coscienza, provvidenziale e lievitata anche a istinto e momento creativo: gnommero che Tiziana sgroviglia e riaggroviglia, dipana e reimmerge in buco nero della Storia, forse, smagliatura e seduzione irreale, ancestrale, anche della nuda poesia:

   “Mi domando che madri avete avuto. Madri feroci, intente a difendere / quel poco che, borghesi, possiedono, / la normalità e lo stipendio, / quasi con rabbia di chi si vendichi / o sia stretto da un assurdo assedio. / Madri feroci, che vi hanno detto: / Sopravvivete! Pensate a voi! / Non provate mai pietà o rispetto / per nessuno”…

   Così, la grande, cadenzata e qui quasi inviperita poesia civile di Pier Paolo Pasolini, fa il paio con i teneri guizzi, direi ingenui e pressoché melodici singhiozzi lirici della Donatella Colasanti, che negli anni successivi battagliava in un interminabile, memorabile processo contro quel Precipizio, e insieme si salvava (cercava di farlo) raccogliendo sul suo stesso, nuovo percorso di ragazza interrotta, i fiori secchi ma ancora fulgidi della poesia:

   “Cammino nelle parole”, titolò infatti la sua plaquette del ’91, cui Roberto Roversi, grande poeta di “Officina”, amico e sodale di Pasolini nella loro Bologna di studenti, donò una breve ma sentita preefazione.

*******

   Brava Tiziana ad avere addomesticato la Storia ufficiale, asfittica e ferruginosa, in Mitologia recondita, e ad aver chiamato in scena, dramatis personae, creature vere così come individualità mitiche: pessimi, squallidi avvocati difensori e Dèe od eroine adatte per i grandi poemi – ma che per fortuna qui ci prestano, delirano lucide parole smitizzate, profezie inadeguate e balbuzienti, ma anche cabale affrante e rinsavite.

   Si pensi a quest’inedita, intrigante e modernissima figura, postura di Circe, meravigliosamente reoconfessa e anzi accusatrice, ribaltatrice dei crimini stessi a lei attribuiti, e che caparbia riconduce all’eterno maschilismo fedifrago del Potere e delle sue istituzioni…

   “Puellae! Non sapete leggere i segni! Eppure vi avevo mandato il mio messaggio chiaro, inciso nella roccia franata in mare a scoraggiare ogni possibile cammino, ad avvertire del pericolo. (…) Praecipitium, praeceps – praecipiti. Il precipizio doveva essere il vostro precettore, puellae! Precipizio, baratro, burrone, dirupo, rovina, tracollo. Piede in fallo.”      

   Lo gnommero (la dizione filologicamente esatta sarebbe “gliòmmero”, componimento poetico popolaresco in dialetto napoletano, in forma di monologo: dal lat. glomus = gomitolo), è questo mix – o meglio texture – di sacro e profano, stile e pensiero, lessico e cuore, negletta insondabile trama di Orgoglio e Pregiudizio, di Umiliati e Offesi… personaggi d’un romanzone che alla fin fine ci reclama e ci comprende tutti, è il Precipizio e l’extrema ratio, la fatidica via d’uscita della nostra storia; talmente stratificata, fossilizzata, che è dir poco misurare il tempo del quando o la distanza del lontano… Ci vuole infatti una dea, anche maliarda e infausta come la maga Circe (guardacaso, sorella del re della Colchide Eeta, la cui figlia Medea si innamorò e aiutò poi Giasone) per raccontare la triste e cruda verità agli uomini, la verità degli uomini obbrobriosi… Udite udite, Circe era insomma la zietta di Medea! Buon sangue, non mente…

   “… Mi hanno appellata ‘Maga, Phamakis’, per questo mi hanno esiliata. Ho il dono di saper mutare gli esseri nella loro forma più vera, nella loro essenza. Si dice di me che trasformo gli uomini in maiali. Ma la verità è che trasformo gli esseri in ciò che già sono, non faccio altro che manifestare la loro vera natura, come uno specchio magico che riflette ciò che è. Sciacalli, vermi, serpenti, topi di fogna. E maiali, certo.”

   “Dall’Ade alla luce” – ho scritto io stesso ricordando la povera e cara Donatella – di ogni lunga ombra possiamo, dobbiamo fare tesoro, sentenza, sapienza, teatro di una parola che curi, resti, confessi e condanni: ma a nuova pace, a nuove tregue nei cuori finalmente rinfrancati, liberati d’ombre, armonia contro ogni dissidio…

   “Il sortilegio della voce” – recita la Voce di Circe – “è il più potente, vocate le vostre ragioni, puellae, diventate avvocate di voi stesse e stendete materne il sortilegio alle donne più giovani, come una rete di parole potenti più di qualsiasi formula magica. Io ho scelto infine di essere mortale, ma se c’è una cosa immortale sono proprio le voci del giusto e del vero.”      

   Ben venga un nuovo ma fedelmente antico, consacrato teatro – anarchico  ed emotivo, eppure profondamente devoto ai loro, nostri significati – che  che onori, rispetti e sappia orchestrare tutte le voci da cui veniamo, che ci abitano, si affollano, inscenandosi ci contaminano: ma proprio così ci salvano.

Alessandra Porro su “Il precipizio”

Ricordo come fosse ieri la brutale violenza subita dalle povere Donatella Colasanti e Rosaria Lopez in quel fine settembre del 1975, episodio tristemente conosciuto come “il massacro del Circeo”. Avevo appena compiuto 14 anni e come Donatella e Rosaria vivevo la mia adolescenza con i sogni, le paure ma anche la spensieratezza tipiche dell’età. Quante volte avevo fatto l’autostop per raggiungere il paese prossimo alla casa delle vacanze o ero uscita insieme alle amiche con ragazzi appena conosciuti in un bar o in spiaggia davanti ad un fuoco con la chitarra. Sembrava tutto così semplice e spontaneo: l’amicizia, le parole, le risate e talvolta ci scappava anche qualche bacio.

Poi d’un tratto tutto mutò e conobbi il baratro. Di colpo capii che Donatella e Rosaria avremmo potuto essere io, Francesca, Luisa e Patrizia. Che era stata solo una questione di fortuna non essere cadute nel “precipizio” come lo chiama Tiziana Colusso nella sua plaquette teatrale. Donatella e Rosaria eravamo tutte noi ragazze di allora, figlie del “baby boom” e del raggiunto (o raggiungibile) benessere economico del dopo guerra in un clima culturale fatto di confronto e scontro politico che vedeva il riconoscimento di nuovi diritti come il divorzio o l’aborto, lo studio per tutti, il 18 politico nelle università, l’inchino insofferente della cultura patriarcale alle nuove istanze femministe. E le botte, ma quante botte, tra fascisti e fricchettoni nelle piazze di Roma.  

I ricordi di quel tempo mi assalgono e quasi mi tolgono il respiro, come fiotti di lava incandescente che dalla pancia della terra risalgono in superficie sprigionando antiche energie e consapevolezze nascoste. Solo ora, dopo aver riletto i crimini efferati del Circeo magistralmente narrati a più voci ne “Il precipizio”, tutto mi diventa chiaro e capisco quanto l’innominabile violenza maschile perpetrata ai danni di Donatella e Rosaria abbiano graffiato la mia anima di giovane adolescente e condizionato le scelte di donna: la tesi di laurea sulla scrittura femminile angloamericana e sulla follia come via di fuga dalla cultura occidentale patriarcale, il  bisogno di uscire dalla casa dei genitori non andando a convivere con un compagno o un marito ma da sola in una casa tutta mia in uno spazio “tutto per me” parafrasando Virginia Woolf, la paura di avere figli (che non sono poi venuti) perché chi glielo insegna a difendersi da questi mostri che girano a piede libero per le nostre città in cerca di prede.

Ricordi di un “fattaccio brutto” che scosse l’opinione pubblica, trasformò un’esperienza personale in una storia collettiva e unì le donne italiane in un abbraccio di sorellanza ancestrale. Eppure 45 anni dopo siamo ancora qui, nonostante tutte le cose dette e le azioni intraprese sul piano politico e culturale, a piangere tutte le povere donne, ragazze, bambine vittime di uomini di cui si fidavano perché non hanno saputo “leggere i segni” inviati da Circe. 

Riflessioni di Annamaria Ferramosca

Polifonia triste per un futuro di civiltà

Affidare alla scrittura e alla immediatezza della rappresentazione teatrale questo testo-testimonianza sul massacro del Circeo del 1975, è scelta potente della scrittrice Tiziana Colusso. Scelta che oggi, a 46 anni di distanza, risuona dalle pagine come voce ferma e irrevocabile, capace di attraversare realtà, società, mito, per farsi altissima dimensione civile.

Nella sua accorata rievocazione di uno spietato delitto di genere, emblema di violenza ottusa, odiosa arroganza di classe e contrapposizione di brutalità e innocenza, si percepisce fortissima la voglia di Tiziana, che è ormai vivo desiderio collettivo, di conferma definitiva che la condanna di un gesto divenuto simbolo di efferato odio di genere, sia la cifra primaria per definire civile ogni società.

Condividere questo grido, affermando l’inviolabilità del corpo-mente della donna, è un lascito – qui  anche di alto valore letterario – per il futuro del mondo, da coltivare ovunque, inalienabile.

Linkopedia:

Videopresentazione 25 novembre 2020 presso L’Enoteca di via Macerata (Rm)

Intervista a Tiziana Colusso, Lingua Madre

Presentazione in diretta facebook                                         

L’ANARCHICO SOLITARIO

di Adonella Montanari

L’anarchico solitario di Adonella Montanari

Autore: Adonella Montanari
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Opera in copertina: Mario La Carrubba
Edizioni EscaMontage
Collana: Plaquette poetica
Anno edizione: 2020
Pagine: 32 p.
EAN: 9788831380058
€ 10,00

L’anarchico solitario Una casa mobili accatastati fuori un balcone di sterpi un angolo dove sedersi insieme alle carte e un bicchiere di vino dentro la solitudine di un bambino – “Adonella Montanari”

Audio nota di Anita Napolitano

Stretti sentieri

di Lorenzo Poggi

Stretti sentieri

Autore: Lorenzo Poggi
Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2017
EAN: 9788894108767
€ 12,50

Riuscire a far riflettere su concetti complessi mediante pochi versi è il massimo che chiedo alla poesia… In tre versi poter esprimere qualcosa di finito è qualcosa che affascina.
Ovviamente per noi europei e italiani è facile e direi “provocatorio” non seguire (dopo averle però affrontate e superate) passivamente le regole rigide dell’Haiku che, pur restando dentro i binari del 5-7-5, si vorrebbe che non servano solo a fotografare poeticamente farfalle e i loro geroglifici in volo, ma anche a cercare cantucci inesplorati in cui fare poesia.
Ho poi scoperto altre forme poetiche giapponesi come il Tanka ed il Waka… Bastano cinque versi pur dalle sillabe obbligate (5-7-5-7-7) per aprire orizzonti poetici imprevedibili.
Certo l’Haiku e i suoi avi e cugini possono diventare manierismo. La foltissima platea di autori di Haiku sa bene quanto sia facile assemblare tre versi come che sia, ma sa pure quanto poi sia difficile ed insieme esaltante trovare tre versi che fanno poesia.

(dalla premessa dell’autore)

FRAMMENTI DI-VERSI

di Rosario Romeo

Frammenti di-versi di Rosario Romeo

Autore: Rosario Romeo
Curatore: EscaMontage, Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Illustratore: Lucia Ferrara
Edizioni EscaMontage
Collana: Poesie
Anno edizione: 2018
Pagine: 43
EAN: 9788894355659
€ 12,00

Versi scritti di getto, provenienti da ispirazioni diverse: un libro letto, un film visto, una notizia ascoltata, un aneddoto appreso, una fantasia improvvisa, un pensiero ricorrente, un’esperienza vissuta. Percorsi (di-versi), amori (di-versi) e racconti (di-versi) si intrecciano tra loro, delineati da un confine solo ideale, a volte sottile e sfumato. Estratto dalla (nota dell’autore)

I poeti sognano pecore elettriche di Giuseppe Spinillo

I poeti sognano pecore elettriche di Giuseppe Spinillo

Autore: Giuseppe Spinillo
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Opera in copertina: Enio Spinillo
Edizioni: EscaMontage
Collana: Plaquette poetica
Pagine: 34 p.
EAN: 9788831380102
€: 10,00

i poeti sognano pecore elettriche

sono ciò che di me non sai –
le risposte che non ho, alle
domande che non mi fai – 
i poeti sognano pecore
elettriche e non si svegliano
mai – o quasi – giusto il tempo
per un caffè bollente, per
un amore chi si fa distante –
ma porta il seme di un’eternità
latente – siamo ciò che di noi
nessuno sa – risposte incomplete
a domande incompiute – ma
se chiudiamo gli occhi
sono tutte in fila, fino
a scoperchiare il buco nero
dell’infelicità – e i poeti
sognano pecore elettriche,
lo fanno da un’eternità – 
fino a svegliarsi innamorati
in questo mondo di androidi, 
geneticamente modificati –

Commento dell’autore

Leggo con piacere i viaggi di Claudio e Giulia nell’universo poetico in cui i poeti sognano, e sognano pecore elettriche. Un viaggio a portata di balcone ma anche di mare; di fiore, nell’infinito dei cicli di fioritura; di piazza o parco; di giorno e notte; di stagione. Ma le risposte che ci da la poesia sono tutte in ciò che siamo in grado di dire a chi ci domanda – che fa l’inconscio davanti ai pomodori? Che il viaggio sia lieto a chi lo voglia viaggiare.

CHE PECORE ELETTRICHE SOGNA GIUSEPPE SPINILLO?
Claudio Comandini

Le pecore elettriche, e quindi copie realistiche degli animali, su una Terra già nel 1992 devastata da una guerra mondiale, rappresentavano per Philip K. Dick il sogno della superstite umanità, questa a sua volta replicata in androidi che spesso per infiltrarsi in essa fuggivano dalle colonie planetarie sulle quali erano stati banditi. Per esigenze di narrazione, pur ispirandosi al libro Do the android dream electric sheep? (1968), la cruciale immagine delle pecore elettriche viene espunta dal film di Ridley Scott Blade Runner (1982), lasciando comunque in sospeso la questione della somiglianza tra la vita sintetica e quella umana, la quale spesso sembra addirittura ispirarsi alla prima. Il film è ambientato nel 2019 in una Los Angeles più allucinata del solito, ed è curioso notare come il 25 aprile e il 5 novembre 2019 del mondo cosiddetto reale, nel fertile crocevia culturale di Centocelle, quartiere di una Roma allucinata già da un pezzo, la libreria La Pecora Elettrica viene incendiata per ben due volte, in attentati di matrice mafiosa operati da una gang di nordafricani dedita allo spaccio e responsabile di diversi incendi dolosi della zona – disattendo certe stereotipate proiezioni, è questo quanto riportano le indagini.

Nel 2021, al tempo delle condizioni distopiche della pandemia, tale libreria non c’è più, ma è previsto dentro quelle che ne furono le mura la realizzazione del polo culturale Cento Incroci, gestito dalla Regione Lazio, dove Giuseppe Spinillo collabora con la Libera Assemblea di Centocelle per la creazione di uno spazio dedicato alla poesia che si spera possa servire a qualcosa. Poeta e militante, Spinillo, classe 1961, ha già raccolto l’eredità della libreria nel suo ultimo libro I poeti sognano pecore elettriche (EscaMontage 2021). L’immagine della pecora elettrica è riportata al sintagma originario, ma resta ancorata alla libreria attribuendone quindi il sogno ai poeti, conferendogli così un’inedita connotazione tanto di lotta quanto di incontro. In una mondo complesso, dove  bene e male non stanno mai da una parte sola, e dove non possiamo nasconderci né le difficoltà di un’integrazione spesso al ribasso, né l’esigenza di una cultura e di una politica non più schiacciate sugli stereotipi, il poeta si incarica, come segnala Giulia Bertotto nella sua recensione al libro, di agire negli eventi che ci disorientano, tentando di fornire delle istruzioni per l’uso.

Le librerie diventano così sogni e serbatoi di sogni, un po’ pecore elettriche nel grand tour di un mondo che cambia – e non per forza in peggio, laddove davvero le idee sappiano trasformare la realtà. Nuovi mondi sono instaurati proprio dalla poesia nel suo articolare la percezione nel linguaggio, e questi mondi hanno forme e suoni, strutture e ritmi, da comprendere dal loro interno e quindi nel costituirsi della poesia stessa. Infatti, nella poesia contemporanea il verso libero stabilisce rapporti qualitativi irriducibili all’applicazione dei rapporti quantitativi tradizionali, ponendo quindi strutture musicali implicite nelle relazioni tra i suoi elementi fonici, dove il significato viene a formularsi in solidarietà con il significante. In tal modo, ritmo e sintassi scaturiscono simultaneamente attraverso peculiari impronte ritmico-semantiche, irriducibili tanto al linguaggio ordinario quanto a puri orpelli sonori. L’acquisizione del verso libero si determina così da una parte nella risoluzione della disarmonia nella quale risuonano parole e cose, dall’altra nel contrasto tra solitudine poetica e comprensione sociale. Per leggere Spinillo secondo tali termini, entriamo nella poesia che apre questi «appunti di un viaggio in tempi di pandemia» e gli fornisce il titolo, quindi facciamo la conta delle vocali e proseguiamo il viaggio lì dove ci può portare.

1Sono ciò che di me non sai – o4/ e2/ i3/ a1
2 le risposte che non ho, alle e4/ i1/ o3/ a1
3 domande che non mi fai – o2/ a2/ e2/ i2
4 i poeti sognano pecore i2/ o4/ e3/ a1
5 elettriche e non si svegliano e5/ i3/ o2/ a1
6 mai – o quasi – giusto il tempo a2/ i4/ o3/ e1
7 per un caffè bollente, per e5/ u1/ a1/ o1
8 un amore che si fa distante – u1/ a3/ o1/ e4/ i2
9 ma porta il seme di un’eternità a3/ o1/ e4 /i3
10 latente – siamo ciò che di noi a2/ e3/ i4/ o2
11 nessuno sa – risposte incomplete e4/ a1/ u1/ o3/ i2
12 a domande incompiute – ma a3/ o2/ e2/ i2/ u1
13 se chiudiamo gli occhi e1/ i4/ u1/ a1/ o2
14 sono tutte in fila, fino o3/ u1/ e1/ i3/ a1
15 a scoperchiare il buco nero a2/ o3/ e2/ i2/ u1
16 dell’infelicità – e i poeti e4/ i5/ a1/ o1
17 sognano pecore elettriche, o3/ a1/ e4/ i1
18 lo fanno da un’eternità – o2/ a3/ i1/ u1/ e2
19 fino a svegliarsi innamorati i5/ o2/ a4/ e1
20in questo mondo di androidi, i4/ e1/ o4/ a1
21geneticamente modificati – e4/ i4/ a2/ o1

L’impronta di ritmo e sintassi tipica di un autore, e quindi l’articolazione del suo mondo poetico, può individuarsi proprio in base alla valutazione della ricorrenza delle vocali, seguendo quanto studiato dal critico musicale Edward Neil in Strutture musicali della poesia di Montale (1970). L’argomento apre a riflessioni che meritano di essere approfondite: del resto, stiamo parlando anche di librerie, luoghi dove sono libri che chiedono di essere letti e messi in relazione tra loro. Neil, inglese nato a Firenze da madre ligure, ha scritto con competenza di compositori noti e meno noti, da Paganini a Busoni, da Satie a Holst, e tra le sue altre incursioni musicali nella letteratura si segnala quella relativa al valore simbolico del flauto in un romanzo di D. H. Lawrence (1970) e un saggio sulla rime popolari genovesi (2001). Nell’originale contributo su Montale, Neil prende le mosse dal colore fonetico delle vocali concepito quale elemento portante della musicalità della parola, mutuandolo dalla distinzione alchemica posta in essere dalla poesia di Rimbaud Voyelles (1871, pubblicata nel 1883): «A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali!». Se in tale poesia egli si propone che un giorno avrebbe detto di tali vocali le «nascite latenti», più in là ammette che «inventare un linguaggio poetico accessibile, un giorno o l’altro, a tutti i sensi» possa costituire un’illusione (Une Saison en Enfer, 1873). Tale «alchimia del verbo» è comunque sviluppata con coerenza da Neil nello stabilire che la matrice del ritmo si ponga nel colore delle vocali, il cui aspetto qualitativo si assesta quantitativamente in frequenze misurabili attraverso un oscilloscopio. Insomma: oltre a contare le sillabe, le vediamo cantare.

Dove il movimento ritmico del verso libero risulta indipendente dallo schema metrico, la ridistribuzione degli accenti si articola in base alla vocale iniziale, che assume il valore nell’armonia tipico della tonica. Tale tonica è scandita spontaneamente nel pronunciare e rendere intellegibile la parola poetica, considerando che essa, in un modo affine al fenomeno musicale del rubato, assume valore più lungo delle antecedenti e delle conseguenti. L’orchestrazione del testo poetico si articola quindi in moduli espressivi qualirime interne, allitterazioni, assonanze, nonché in quanto Neil definisce vocalismo ciclico e isovocalismo statico; il movimento ritmico che si stabilisce è generico laddove in esclusivo rapporto col significato di cui è veicolo, ed è propriamente musicale se il valore fonico della parola ne incrementa la carica espressiva. Neil tenta di indagare la potenza evocativa della parola analizzandone le frequenze costitutive.

L’esperimento “alchemico” di Rimbaud non è affatto isolato, e addirittura trova un antecedente nella relazione stabilita da Newton tra colori, note e pianeti, tutti riportati al numero sette (Opticks, 1707). Tali conclusioni vengono sconfessate da Goethe (Farbenlehere, 1810), che ne contesta il riduzionismo insistendo sull’interazione qualitativa di luce e oscurità, e la sua prospettiva viene sviluppata da Schopenhauer, che contro l’oggettivismo evidenzia le condizioni con cui agisce l’attività percettiva, e quindi da Hegel, che criticando la natura corpuscolare della luce e la sua base meccanicista ribadisce la non originarietà dei sette colori. Mentre tutti si dimenticano che Newton era anche alchimista, con l’alchimia si diletta a modo suo il veggente Rimbaud. Con l’interesse di assegnare alla poesia un decisivo compito di trasformazione e di segnare l’inesprimibile, mette nel suo pantone i colori fondamentali rosso, verde e blu, e le loro sintesi additive e sottrattive, il bianco e il nero. Va notato che, rispetto alle fasi del tradizionale processo alchemico, in quello elaborato da Rimbaud non sussiste il giallo, caratterizzante la fase detta cinitritas; c’è invece il verde che, se nello spettro della luce ha posizione intermedia tra gli altri colori, è associato alla U, in modo incongruo rispetto alla sua frequenza che generalmente viene fatta risuonare più bassa rispetto alle altre vocali; inoltre, viene introdotto anche il blu, con coerenza interna associato alla O. Riguardo a questa «alchima del verbo», che definisce come una delle sue follie, Rimbaud prima si vanta «di possedere tutti i paesaggi possibili» (Une Saison en Enfer, cit.), e poche righe dopo ne denuncia il carattere allucinatorio e disordinato e il sostanziale fallimento. Dal canto suo, il sistema di lettura elaborato su tale scorta da Neil, aderente alla grana di un testo e aperto nelle soluzioni critiche ma in seguito né ripreso né considerato, è provvisto di un’ingegnosità che, pur se un po’ artefatta e in ampia misura anche improbabile, può funzionare laddove aiuti a comprendere i paesaggi a cui pongono capo la scrittura e i suoi processi consci e inconsci.

Cerchiamo di capire qualcosa della poesia di Spinillo attraverso le suggestioni che tale sistema può operare. Domande e risposte inespresse e incomplete si rincorrono dividendo il componimento in due parti non simmetriche (ai versi 2-3 e 11-12), con un senso di sospensione che rimanda indirettamente al sogno a cui si allude. La poesia si muove tra rime alternate (sai chiude il verso 1, fai chiude il verso 3, mai apre il verso 4; rima interna imperfetta tra bollente a metà del verso 7, e distante a chiusura del verso 8; rima interna tra eternità al verso 16 e infelicità al verso 18; rima baciata tra innamorati al verso 19 e modificati al verso 21), assonanze (distante al verso 8 e latente al verso 10), allitterazioni (incomplete al verso 10 e incompiute al verso 11). Osserviamo quindi il rincorrersi i suoni e colori. Prevale il vocalismo ciclico di O blu, vocale iniziale e finale e quindi tonica, che segna 49 ricorrenze; come notato, tale colore nell’alchimia tradizionale nemmeno esiste, mentre nel processo alchemico rimbaudiano è nominato quale finale. La E bianca, da parte sua la vocale più caratteristica dell’italiano, nonché seconda fase del processo del Magnus opus alchemico in qualità di albedo, è preminente con 57 ricorrenze, per quanto risulti perlopiù quale sorta di nota di passaggio. A tale andamento, si accompagna un isovocalismo statico che incede sulla I rossa, esito di un processo alchemico compiuto quale rubedo, le cui ricorrenze incrementano nella seconda metà del componimento, totalizzandone 53. A nera, il cui colore rappresenta la nigredo, fase iniziale di una trasformazione alchemica, segna 37 ricorrenze. La U verde, colore anch’esse come già segnalato privo di spazio nell’alchimia tradizionale, ha scarsa incidenza e ricorre 8 volte. Questi sono i colori che arrivano a comporsi sullo spartito di questa poesia.

Concentriamoci sugli elementi esterni al testo eppure in quale modo rilevanti nell’economia poetica dell’autore che possono venir suggeriti dai due colori che, al netto di ricorrenze e ruolo, risultano i più caratterizzanti in senso musicale e quindi di incremento di carica espressiva, e cioè il blu e il rosso. Il blu può essere visto quale sfumatura di quell’azur che predomina nella poesia francese da Baudelaire a Mallarmé, cioè durante una fase letteraria che nella sua ricerca di una dimensione tra foreste di simboli e parola evocatrice risulta cruciale per chiunque intenda fornire decenza al proprio rapporto con la poesia – che non consiste affatto nell’andare a capo a casaccio per parlare comunque sempre e soltanto del proprio solipsismo. Da parte sua, il rosso, tra i suoi molti impieghi, è il colore della bandiera del comunismo. Cosa resta del comunismo dopo le sue bandiere, è ancora ciò di cui parlava Marx: analisi delle forme di produzione capitaliste e proposta di una loro rottura, superamento della divisione del lavoro, una visione del lavoro intellettuale che si incarica di trasformare il mondo, comportando così una diversa antropologia – l’aspetto più decisivo, disatteso tanto dagli esponenti di partito quanto dalle cosiddette zecche, aspetto in altri passi coltivato dall’autore con la cura di un giardiniere, i cui gesti semplici ed essenziali riportano in altri modi al colore blu laddove si impegna a «dare acqua alla terra […] sotto l’ombra di un fiore – testimone/ il dio mare» (Spicchi di Mela VIII).

Cercando cosa può significare comunismo prima e dopo Marx, tornano utili gli studi compiuti nella metà del 1800 sulle società primitive da Lewis Henry Morgan (Ancient society, 1877). Vissuto a lungo presso i nativi americani Irochesi presso lo stato di New York, addirittura adottato dalla loro tribù dei Seneca quale mediatore (Taiadawahgh, “colui che si tiene in mezzo”), Morgan  osserva come le popolazioni del nord-est americano siano caratterizzate da elementi quali obblighi di vicendevole aiuto, consiglio di tribù per le pratiche comuni, struttura federale della forma pubblica di governo. Tra i fondatori dell’antropologia culturale, esponente e senatore repubblicano, commissario governativo presso i nativi durante la guerra civile, Morgan, in modi molto meno binari più di quanto oggi nonostante i proclami imperversi, individua come nelle forme sociali indigene sussista un ordine comunista primitivo, un matriarcato implicito nello stesso patriarcato, stabilendo che lo sviluppo dell’uguaglianza tra i sessi venga a maturarsi nella famiglia di coppia  perfezionando la famiglia monogamica, a sua volta successiva a quella propriamente detta patriarcale. Sulla sua scorta, Engels (Der Ursprung der Famile, 1884) e Rosa Luxemburg (Einfürung in die Nationalökonomie, 1912) rimarcano che, se proprietà privata e logica dello sfruttamento nascono dalla dissoluzione delle forme primitive legate alla gens, è il loro porsi quali culla dell’evoluzione sociale a permettere il costituirsi dell’orizzonte dell’economia comunista mondiale. In questa, la dissoluzione del matrimonio quale strumento di conservazione dello stato fondato sulla proprietà privata si sarebbe quindi accompagnata alla scomparsa di quanto, come due facce della stessa medaglia, ad esso si accompagnava, e cioè della prostituzione, determinata da un sostanziale asservimento della donna pronto a terminare con il suo pieno inserimento nella pubblica industria. Molti sogni durano a lungo, alcuni mentre  dormi cambiano di segno, la realtà eccede ogni costrutto.

Indugiamo in quello che Engels stesso considera il lungo cammino del socialismo, questo sogno dell’umanità, mirando un’utopia che ha senso proprio in quanto possibile. Con l’eliminazione della produzione capitalista l’amore sessuale individuale tra uomo e donna capaci di scegliersi reciprocamente e liberamente assumerebbe ruolo emancipatorio portando così ad una generale liberazione della donna nonché alla scomparsa degli aspetti di indissolubilità e di predominio maschile del matrimonio monogamico. La raggiunta uguaglianza di diritto avrebbe portato a compimento il carattere morale comportato dall’esclusività, ma esternamente agli ordinari rapporti di compravendita tra gruppi parentali, e nella dissoluzione della forma matrimoniale l’ultima parola sarebbe stata quella dell’amore. Quanto i comunisti di ieri non avevano previsto e i progressisti di oggi non vogliono vedere è però che la sovrapproduzione neoliberista ha condotto prima ad un culto della performance e ad una proliferazione di identità e relazioni, quindi a patologie narcisiste e all’indifferentismo sessuale. E mentre il modello matrimoniale di conservazione del capitale si diffonde ad ogni tipo di coppia e la prostituzione viene addirittura solennizzata, esperienze quali il mancato possesso e la separazione portano a livelli inauditi di chiusura e violenza per motivi legati all’eccessiva enfasi sull’amore sessuale e non per qualche patriarcato immaginario. Così, come in un romanzo di Dick, restiamo a chiederci cosa davvero significhi essere umani, e se tale evenienza abbia davvero un senso; oppure, come in queste poesie di Spinillo, possiamo incedere in un «controcanto silente -/ alle assenze d’un mondo,/ solo in apparenza presente -» (Spicchi di mela XIII) e sbucciare mele da distribuire spicchi che, «uno a me, uno a te», valgono di più «di un ti amo latente» (Spicchi di mela I), continuando a sognare pecore elettriche fino a svegliarci innamorati.

Se nelle sue alchimie verbali Rimbaud sognava «viaggi di scoperte di cui non esistono relazioni» (Une Saison en Enfer, cit.), un viaggio in tempi di pandemia può portare a cogliere che, ieri come oggi, sussiste convivenza tra ordini sociali complementari e piani di civiltà diversi, dove si accostano realtà ordinariamente concepite come tra loro separate. A livello stilistico ciò si traduce in Spinillo in un particolare impiego del trattino, che nella poesia già analizzata ricorre qua e là 11 volte, del quale in esergo al libro è ricordato come esso possa costituirsi quale fessura per «vedere il silenzio che ci assedia da tutte le parti» (Intervista a Silvia Bre – parlando di Emily Dickinson). Il trattino, come ricorda ancora tale citazione, non soltanto disarma la frase e permette di guardarne attraverso: il suo intervenire spezza un ritmo già franto da allitterazioni, assonanze, rime interne, segni di interpunzione e enjambement in ulteriori pause, lo rende ancora più sincopato e particolarmente appropriato al territorio frazionato che l’autore testimonia: quello delle periferie della metropoli romana, delle quali gli amministratori ignorano quello che tanto gli urbanisti quanto gli abitanti ormai conoscono, e cioè il loro costituirsi quali laboratori in cui confluiscono incontri di esperienze diverse, e quindi la loro aspirazione a «farsi centro» e a dettare la forma della metropoli (Indagine sulle periferie, Limes 4/2016).

Il formularsi un’immagine delle periferie quali foreste fertili di vita e colori, circondate dalle paludi del pregiudizio che ad un tempo le isolano e le proteggono, riporta al nord-est degli Stati Uniti ottocenteschi nonché agli scenari tipici di un personaggio coetaneo di Spinillo, per quanto esistente su un altro piano: Zagor, creato nel 1961 dallo sceneggiatore Sergio Bonelli e dal disegnatore Gallieno Ferri, che abita in una capanna difesa da sabbie mobili e paludi nell’immaginaria foresta di Darkwood. Patrick Wilding, bianco di origini irlandesi il cui padre muore per mano di nativi americani dopo essere rimasto suo malgrado implicato in un massacro ai loro danni, diventa Zagor, convinto difensore dei diritti dei nativi pur se da una posizione di piena autonomia e circondato da un aura sovrannaturale grazie alle sue astuzie da uomo civilizzato. Tali complesse vicende sono scaturite in ordine sparso durante la lunga storia del personaggio per venir sistematizzate dallo sceneggiatore Moreno Burattini nella miniserie Zagor – Le origini (2019). Consapevole che il bene e il male non stanno mai da una parte sola, mediatore spontaneo tra mondi ordinariamente separati, il personaggio vive avventure che esondano dai generi prestabiliti e dove toni drammatici si affiancano a quelli umoristici, e nelle quali è possibile incontrare robot, vampiri e alieni e altre soluzioni improbabili, come del resto lo sono le stesse liane usate come mezzo di trasporto. Il riferimento a Zagor è particolarmente calzante anche perché Spinillo è solito indossarne la maglietta – per meglio dire, il costume.

Tentando di ricombinare la frammentazione della nostra distopia quotidiana, la poesia di Spinillo, comunista non per parzialità ideologica ma per spinta verso l’eccezionalità di «un mondo migliore,/ se ci vuole» (Spicchi di mela IX), dal cuore della futuribile foresta urbana di Centocelle attraversa con le liane dei suoi versi le paludi del nostro presente. Dove «il diritto a fiorire/ è un continuo -/ infinito rinascere e morire» (Spicchi di mela XI), ne preserva i «semi di eternità latente» (I poeti sognano pecore elettriche) e le forme di vita esistenti – anche le più insolite, senza escludere quelle sintetiche e quelle geneticamente modificate e, prime tra tutte, le librerie che possono abitare i nostri sogni.

Recensione a cura di Giulia Bertotto

Giuseppe Spinillo nasce al mare e al mare torna quasi in ogni pagina della sua raccolta I poeti sognano pecore elettriche (Escamontage 2021). Eppure, non sa se il suo mare esista davvero.

Il poeta, si sa, è paradossale. Il poeta è più che mai disorientato dagli eventi: nelle sue visioni oniriche belano pecore elettriche in un mondo a frammenti di pixel e prati Geneticamente Modificati. Le sue liriche allora sono anche istruzioni per l’uso in un mondo sempre più complesso, contro-verso, sintetico-apocalittico. Il poeta però, non è esonerato dall’azione, contemplare sì, ma anche agire: così l’autore si è fatto carico di quella ex Pecora Elettrica per farne “Cento Incroci”, in sinergia con la “Libera Assemblea di Centocelle”, spazio di condivisione letteraria nel sito fisico della libreria messa a fuoco dagli attentati di matrice criminale.

L’autore viene al mondo il 6 gennaio e da lì è tutta un’epifania di scoperte, entusiasmi ma anche rimpianti: continua a rilegare se stesso tra copie sbiadite e scorte di cielo mentre aspetta il presente. Spinillo in amore si fa pragmatico, meglio tagliare e condividere gli spicchi di una mela, prova quotidiana del sentimento tenero della mamma e dell’amante che nutre la sposa. Sbucciare un frutto, gesto che vale più di un ti amo latente. È l’esposizione alla vita che appassiona e irrita, così la poesia si fa unguento, d’inchiostro virtuale.

Il motivo tratteggiante della sua sintassi stilistica (tema approfondito dal filosofo, poeta e saggista Claudio Comandini) segue il percorso atmosferico dell’acqua, negli scrosci suadenti dei suoi versi: pioggia che occupa gli spazi della luce, gocce che innaffiano la vita come giardiniere di sé stesso, onde che ostacolano l’attrazione che lo calamita oltre gli oceani. I trattini sono fessure attraverso cui sbirciare, o affacci da cui sublimare il sole.

Dall’umido al secco, gli estremi ispirano.
L’afa estiva ci strema, mentre le cicale si perdono in un canto estatico. Se fossimo noi quegli insetti dalla pancia a cassa armonica, saremmo liberi dal dolore in quel cocente e ipnotico ritmo.

La pace dalla calura si trova anche in quei maestosi paesi di tufo, isole di memoria, rigagnoli lenti su roccia piroclastica che fu rovente e scatenata.
Luoghi accidentali ed elementi contingenti della quotidianità romana, come le querce del Parco Somaini o la brina mattutina a Villa Gordiani, sono carne e linfa di silenzi genuini da difendere, si fanno immagini universali, da cui si dilatano ere: perché un solo fiore regge il peso dell’intero universo. Nella giurisdizione del suo libro, Spinillo invoca il diritto a fiorire, ma tale diritto è anche una conquista infinita che passa proprio attraverso il perire stagionale: ci si fa immortale in un fiore sul balcone.

Recensione a cura di Francesca Farina

Un io proponderante ma dolcissimo si accampa sulla pagina poetica fin dall’incipit la cui poesia dà il titolo all’intera raccolta, come pure si evidenzia il NO deciso della negazione quasi montaliana, del famoso verso “…ciò che non siamo, ciò che non vogliamo…”, mentre Giuseppe Spinillo ci dice “le risposte che non ho / alle domande che non mi fai” quando una contemporaneità al tempo stesso quotidiana e banale, ovvero dilatata fino alla distopia, sottolinea il vissuto dell’autore, tra il caffè bollente e le pecore elettriche, citazione da “Il cacciatore di androidi” di Philip K. Dick, romanzo dal quale fu tratto il mitico film “Blade runner” di Ridley Scott. Qui non sono tuttavia gli androidi che sognano pecore elettriche, ma i poeti, persone reali e concrete, benché spesso viste come sospese in un iperuranio dorato, che vivono in un mondo “geneticamente modificato”. È dunque l’invasione non degli ultracorpi, come in un’altra celebre pellicola, ma della natura a generare la vitalità sincopata ma luminosissima dei versi, una dolcezza travolgente che permea ogni singola parola, mentre si ridiventa bambini recuperando un “noi” che consola nella solitudine devastante di questi nostri tristi tempi pestilenziali, perché “la lunga notte…/ finisce sempre con l’alba…”.

Così occorre annaffiare la vita, dedicarsi ad essa come ad una pianticella che cresce, a un insetto che ha bisogno di ascolto, entrando in una fiaba, novello Pollicino, il quale però non cerca la strada di casa ma l’amore o la bellezza, simboleggiati dalla luna. L’unica certezza resta dunque la scrittura, perduta, ma mai del tutto, nei quaderni, sopravvissuta a salvamento di chi scrive, grazie anche alla favola consolatrice, che poi è anche l’illusione o il conforto dell’innamoramento, rifugiandosi nelle piccole cose che rincuorano, lo spicchio di mela, il filo d’erba (non dimentichiamo che “Fili d’erba” è il titolo della nota raccolta di versi di Walt Whitman), il vento, il fiore, insomma tutto ciò a cui ci si può aggrappare come ad uno scoglio nei marosi dell’esistenza, mentre franano i convincimenti e perfino il poeta crolla o si confonde, sbiadendo come un colore sottoposto ad eccessiva luce o a una terrificante oscurità. All’epoca del Covid19 restano soltanto gesti semplici da compiere, azioni umili come dare l’acqua alle piante, rievocando il mare, o la pioggia, o la madre/mare, unica resistenza davanti allo sprofondamento di ogni aspettativa, alla sparizione di ogni speranza, nell’attesa malinconica di un mutamento, nella prospettiva lontana di un eterno ritorno. Intanto la Natura celebrata da Spinillo, così diversa dalla Madre Matrigna di leopardiana memoria, paziente, accogliente, amorevole, si fa piccola nel vaso sul balcone, o immensa, se il poeta coglie con l’occhio del cuore “l’intero universo” e la sua musica celeste, se in ogni essere del creato lo sguardo dell’autore trova bellezza, poesia, passione, vita e morte, mentre la parola “fiore” si ripercuote come un mantra pressoché ad ogni pagina, quasi un filo rosso che lega i versi, segno/segnale di vitalità che non si spegne mai, come il cielo e il sole, nonostante la pandemia che rimane sempre sullo sfondo.

In realtà, la tremenda parola non entra mai in questi testi, eppure il tormento del non detto penetra egualmente tra le righe, nelle allusioni di senso, nelle parole appena accennate, nei gesti ripetuti dentro uno spazio claustrofobico, che genera asfissia, costantemente invocando uno spiraglio di salvezza che cancelli il rimpianto di ciò che non si è vissuto, nella con-fusione degli elementi naturali, con ancora e sempre il mare, il cielo, la luna sfolgoranti sulla pagina, parametri infiniti di fronte al finito essere umano, al presente che elide passato e futuro, a un volto che rasserena, nell’angoscia degli attimi sospesi, nell’insicurezza frastornante di ogni istante, al susseguirsi delle stagioni, autunno con i mesi di ottobre e novembre, o primavera nel “respiro gordiano” dell’alba, in un giardino dove Storia e Natura si compenetrano nel recupero di una passeggiata nel verde, proibita come un peccato mortale in tempi di segregazione pandemica.

Il poeta intona un canto incessante alla Natura e a tutte le sue manifestazioni, alla vita che non cessa mai di far sentire la sua voce, al mare, elemento prediletto, ineludibile passione, fino all’ultima, ironica terzina, quasi un haiku, che chiude con l’infinita delicatezza di un sorriso questa raccolta, infinita delicatezza che ha permeato ogni verso. Notevoli ci paiono dunque questi testi di Giuseppe Spinillo, come anche la struttura metrica dalle rime inusuali, ben ritmate, dai versi intrisi di una musica interna che scandisce le frasi poetiche, generando un continuo spostamento di senso che acuisce l’attenzione, l’emozione, l’immedesimazione di chi legge, struttura che non ci sorprende perché l’autore è maestro di suoni, tanto che queste sue poesie, come tante altre che abbiamo ascoltato diverse volte in molti anni, potrebbero essere dei veri e propri “rap” scanditi da un palco e suscitare egualmente, se non maggiormente, tensione e meraviglia.

Nota di lettura di Irene Sabetta

Nonostante il riferimento nel titolo ad uno dei romanzi distopici più noti, soprattutto per la trasposizione cinematografica nel film Blade Runner, la breve raccolta di Giuseppe Spinillo è attraversata da una vibrante e invincibile utopia: che le periferie possano trasformarsi in luoghi di incontro e di crescita culturale condivisa. Come ha affermato l’autore in una intervista, le “pecore elettriche” che i poeti sognano (che lui sogna) sono le librerie che, a dispetto dei tempi, dovrebbero sbocciare come fiori nelle zone più deprivate e difficili della città. La città a cui il poeta si riferisce è Roma e la periferia che vorrebbe veder rinascere e resistere ai mali del momento è Centocelle. Un libro di poesie radicato, dunque, in una realtà ben precisa, con la quale l’autore intrattiene una relazione di affetto e complicità quasi viscerali. C’è molta passione, infatti, nei versi di Spinillo che, seppur muovendo da un’istanza sociale, quella di denunciare il barbaro incendio nel 2019 della libreria La Pecora Elettrica, appunto, e di sognarne la rifondazione, è animata da mille risvolti emotivi e richiami alle forze della natura. La spinta civile a monte del percorso poetico che conduce alla produzione di questi testi ne sostiene la carica polemica e, insieme, profondamente emotiva e si trasforma, nel fluire dei versi, in una sorta di inno alla bellezza della natura e della poesia. La prima idea di quest’opera nasce sul balcone, da dove Spinillo, durante il  lockdown della scorsa primavera, ogni sera, alle 21.00 circa, declamava con il megafono versi di poeti defunti e viventi a beneficio di chi volesse ascoltare. La lettura ad alta voce, anzi a voce altissima, è l’altra passione personale del poeta che vibra in questa raccolta. Nella pagina iniziale, c’è un richiamo alla poesia di Emily Dickinson e al suo uso dei trattini come segno grafico distintivo. L’analisi dei testi della poetessa americana, che visse tutta la vita in isolamento volontario, quasi costretta da una sorta di “pandemia esistenziale”, ha indotto Spinillo ad una domanda: perché i poeti vanno a capo? Perché la Dickinson ha voluto marcare con un trattino, anzi, con una serie diversa di trattini, addirittura a volte rafforzati, queste pause, queste fratture nei suoi versi? Forse per costringere il lettore a fermarsi, a rispettare degli stop che non coincidono per forza con le pause della sintassi o della logica comune. Leggere ad alta voce le sue  poesie rispettando le cesure marcate dai trattini, significa imparare a rispettare l’impianto originario del testo poetico, senza alterarne le strutture interne e assumendo il ritmo e la scansione del ragionamento voluti dall’autore.

Motivazione sociale, curiosità per i trattini della Dickinson e lettura ad alta voce, le tre linee lungo le quali Giuseppe Spinillo ha sviluppato questo suo viaggio poetico. L’intento costruttivo e proattivo è evidente nell’ariosità dei versi, nei giochi di chiaroscuri in cui, alla fine, prevale sempre la luce del sole, nella presenza ricorrente dei fiori (i fiori del bene!) e nei molti rimandi alla pratica del giardinaggio. Concepita in tempi di chiusure e isolamento, questa poesia è tutt’altro che claustrofobica; ci conduce fuori, nei parchi, ci porta oltre l’orizzonte della finestra a scrutare orizzonti possibili. Come un pioniere che spinge in avanti la frontiera, Spinillo si lancia con l’immaginazione verso i luoghi dell’utopia. E l’uso dei trattini, degli asterischi, suggeriti da Emily Dickinson, non sono tagli nel testo, ferite nel discorso, come a volte accade nei componimenti dell’autrice americana, ma piuttosto pause di respiro, un invito a fare dei sospiri di sollievo, ad evitare l’affanno, ad assumere un ritmo lento…

Nella poesia che chiude la plaquette, il mio mare, troviamo espressi, nelle tre sezioni che la compongono, i tre elementi fondanti della raccolta, correlati a tre luoghi cari a Spinillo: l’utopia rappresentata dal mare, il conforto gioioso della natura da cercare nei parchi urbani e la realtà prossima in cui piantare i semi per un futuro migliore, il quartiere di Centocelle.

da Formafluesn

Presentazione della plaquette I poeti sognano pecore elettriche, andata in diretta il 21 marzo 2021 giornata mondiale della poesia

La metrica del battito

di Francesca Liani

La metrica del battito di Francesca Liani

Autore: Francesca Liani
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2018
Pagine: 112
EAN: 9788894355628
€ 12,00

“La “poesia” di Francesca Liani si connota per una freschezza di “anima” e di parola. I suoi versi a volte cullano, a volte colpiscono, con l’evocazione di immagini conosciute, di sentimenti chiari. Mi piace questo suo “raro” coraggio dell’intelligibilità. Intelligibilità coniugata però con l’originalità degli accostamenti, della costruzione sintattica, di un guizzo inatteso nel senso e perfino nella grafica delle parole”. (Francesca Andreini)

Invito alla lettura a cura di Antonio Spagnuolo:

Francesca Liani : “La metrica del battito” – Ed. Esca Montage – 2018 – pagg. 108 – € 12,00 –
Con il sottotitolo “Anima nuda tenemus” lo scorrere dei versi, sorprendentemente dall’eco privata, si scioglie per un “fragile e possente cuore che batte all’impazzata”. La profondità e l’accuratezza di una ricerca, volta alla introspezione di un tempo unico ed universale, rappresenta in queste pagine il motivo dominante che riesce a ricamare il ritmo di un dettato incluso nella sfera della libertà e della sensazioni superiori dello spirito. Versi che hanno il dono della leggibilità, perché improntati alla cristallina musicalità, brevi , pregnanti, carezzevoli in una peculiare mobilità di scrittura, nella quale l’occasione del canto è ricordo, illusione, figure, colori, pensieri “rinchiusi in un batter di ciglia”. Il pulsare cardiaco sostiene “le pieghe del cuscino/ avvinghiato al petto…”, quasi a precisare il tremore della solitudine. “Le parole muoiono in gola/ e il silenzio fa da velo/ ad un corpo nudo/ ramo senza fronde/ mare prosciugato dalla onde”, nella sospensione volutamente lineare di pensiero, illuso di poter ripetere “colori/ che avvolgono le pareti dell’anima”. Poesia corporea , immersa nella incandescenza del desiderio, della cristallizzazione di un sussurro eternamente immaginario.

Poetrydream

Mi vestivi di nero velluto

di Angela Donatelli

Mi vestivi di nero velluto di Angela Donatelli

Autore: Angela Donatelli
in copertina disegno di: Angela Donatelli
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2018
Pagine: 40
EAN: 9788894355604
€ 12,00

“Angela Donatelli possiede un’originalità del linguaggio metrico che si estende fino gli aspetti ritmici della prosa, all’interno dei topoi ritratti tra le riflessioni a volte amare di questo (r)esistere, andare, comprendere la peculiarità misterica di un’intera vita. Scaturisce immediatamente un effetto sorprendente che emerge da un ‘immaginario percepire’, frutto di rimemorazioni autobiografiche. Qui i sentimenti sono messi alla prova, smossi per sortire una reazione emotiva nei luoghi ostili della solitudine, nei profondi abissi dell’Io. Il legame intuitivo, intellettivo, colto e audace con la scrittura della poetessa è in grado di animare l’essenza più atavica del nostro essere, riuscendo a scandagliare la bellezza e l’alchimia nascosta nei tormenti celati nel quotidiano.”

Mi vestivi di nero velluto

di Angela Donatelli

Mi vestivi di nero velluto di Angela Donatelli

Mi vestivi di nero velluto

Autore: Angela Donatelli
in copertina disegno di: Angela Donatelli
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2018
Pagine: 40
EAN: 9788894355604
€ 12,00

“Angela Donatelli possiede un’originalità del linguaggio metrico che si estende fino gli aspetti ritmici della prosa, all’interno dei topoi ritratti tra le riflessioni a volte amare di questo (r)esistere, andare, comprendere la peculiarità misterica di un’intera vita. Scaturisce immediatamente un effetto sorprendente che emerge da un ‘immaginario percepire’, frutto di rimemorazioni autobiografiche. Qui i sentimenti sono messi alla prova, smossi per sortire una reazione emotiva nei luoghi ostili della solitudine, nei profondi abissi dell’Io. Il legame intuitivo, intellettivo, colto e audace con la scrittura della poetessa è in grado di animare l’essenza più atavica del nostro essere, riuscendo a scandagliare la bellezza e l’alchimia nascosta nei tormenti celati nel quotidiano.”

La settima soglia

di Marzia Badaloni

 

La settima soglia

Autore: Marzia Badaloni
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
In copertina opera di: Lina Morici
Edizioni EscaMontage
Collana: Poesie
Anno edizione: 2018
Pagine: 40
EAN: 9788894355642
€ 12,00


“Torna lei… Poesia Mia amata essenza, torna portando con sé le immagini della veggenza, come le farfalle che si schiudono al dolce tepore del loro tempo. Trasformando l’immaginazione sulle ali dorate e soltanto allora le parole volano sul foglio…” – Marzia Badaloni

Dilaettica dell’immaginario

di Emiliano Scorzoni

Autore: Emiliano Scorsoni
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Opera in copertina di: Mario La Carrubba
Edizioni EscaMontage
Collana: Poesie
Anno edizione: 2018
Pagine: 86
EAN: 9788894355635
€ 12,00

Tutta la silloge “Dialettica dell’Immaginario” diviene una panacea per l’anima; la sua scrittura fresca e connaturata, entra in punta di piedi in un dialogo sussurrato con il lettore, al quale apre il suo cuore puro. Una dialettica che parla con i versi dell’immaginario poetico ma che affonda le sue radici in un vissuto di relazioni umane autentiche. (Dalla prefazione di Francesca Micacchi)

Nota dell’autore:

La sezione Amici di Dialettica dell’immaginario è la voglia di far conoscere, promuovere la poesia contemporanea, di avere dei compagni di viaggio in questo percorso difficile e appassionante, l’idea è quella di riempire il mondo di poesia e mi sento molto fortunato di avere molte amiche e amici che condividono con me questa passione.

con i poeti: Roberto Piperno, Giulia Bellavitis, Daniela Cobaich Mascaretti, Angela Ferrara, Lisa Ficara, Fabio Giardinetti, Matteo Giordano, Rosario Napoli, Agostino Peloso, Jane Sibar.

Una riflessione su Dialettica dell’immaginario a cura di Silvia Bove:

Non è sempre detto che l’avanguardia sia la temperatura del mondo. Certo Sandro Penna fu tacciato di antinovecentismo, quando con le sue liriche sfumate, misteriose, decantanti la vita minimale e afferrata dall’invisibilità rappresentò la divaricazione dall’ermetismo, ma è considerato uno dei più grandi poeti del Novecento.
Quindi la sua voce è rimasta!
Questo per dire che Emiliano Scorzoni nelle sue liriche romantiche dedicate alla visione delle sue innamoranti passeggiate romane, o quelle per il figlio, la compagna o Musa, rende la temperatura pulsante di un’anima calata nel nostro tempo che parla la lingua dei sentimenti.
Sembrerebbe quindi che l’apparente semplicità destrutturi il linguaggio destrutturato.
Picasso affermò che intercorse una vita, la sua, finchè finalmente riuscì a “dipingere come un bambino”.
Restare freschi presso la propria ispirazione è il patrimonio cui attingere.
Emiliano Scorzoni è un poeta che esprime chiarezza, e le sue liriche sul senso di abbandono, sulla inquietudine notturna o l’amore per il figlio ne sono epigrafe, testimonianza.
Il trasporto per la poesia è totalizzante, fino ad augurarsi di essere inchiostro, “inchiostro io sarei nei pensieri tuoi”.
La sua linea è limpida, quella di persona fedele al proprio stile, che si appresta a dichiarare sempre le proprie emozioni, impressioni e attese, viatico di verità.

Linkopedia:

Presentazione avvenuta nel settembre 2018 Moby Dick biblioteca hub culturale

Prove tecniche di esposizione

di Martino Marini alias Guth Veims

Prove tecniche di esposizione di Guth Veims

Autore: Guth Veims
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Opera in copertina: Valerio D’Angelo
Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2019
Pagine: 80
EAN: 9788894355697
€ 12,00

“Il nostro artista che vive / in un mondo di sogni / ma muore in un mondo reale, ama alternare e, accanto al linguaggio ardito e sognante dell’amore, usa un linguaggio più moderno in cui non utilizza la rima e si avvicina anche a brevi componimenti in prosa, insomma a quelle prove tecniche del titolo: spesso si tratta di riflessioni, considerazioni, pensieri, fiabe, ricordi, emozioni. In questo suo esplorare diversi linguaggi troviamo anche una deliziosa lirica in romanesco, dal titolo A tavola: il Poeta cambia così contemporaneamente l’oggetto della poesia che qui è dato da formaggi, prosciutto, salame, carbonara, risotto alla pescatora, abbacchio!” (dalla prefazione a cura di Fausta Genziana Le Piane).

In caso di apocalisse

di Giulia Bertotto

“In caso di apocalisse” Autore: Giulia Bertotto
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice, Claudio Comandini
Edizioni EscaMontage
Collana: Poesie
Anno edizione: 2019
EAN: 9788894355680
€ 14,00

«In queste pagine troviamo soprattutto l’idea di una poesia che “non è roba per sentimentali ma per compulsivi”, e non è certo il suicidio lirico a dare soluzione a quanto di irrisolto porta con sé la vita, in un onirismo che resta incerto tra l’essere chi sogna e l’essere chi è sognato, all’interno di una condizione cosmopolita vissuta con leggerezza, nella quale gli estremi appassionano». (dalla prefazione di Claudio Comandini)

Nota dell’autore

Noi viviamo in un epoca di sentimento millenaristico però secolarizzato, ci sentiamo in colpa verso la natura, ma con un sentire ambientalistico, non con un senso del Creato. Viviamo in un tempo di minaccia di estinzione per l’uomo. Ogni giorno sentiamo dire che l’Amazzonia brucia, la plastica penetra nella catena alimentare e soffoca i mari, i ghiacciai si sciolgono e le temperature in aumento causano migrazioni e faranno scoppiare guerre. Chiamiamo quest’era Antropocene, perché l’impatto umano è oggi più massiccio e insieme capillare che mai nella storia del pianeta. E’ qualcosa di spaventoso ma anche affascinante, ne avvertiamo il fermento. Il fermento dell’apocalisse è dato dall’avvicinarsi verso la verità delle cose, più che dal pericolo della loro fine. L’apocalisse è anche la consapevolezza elettrizzante di questo legame essenziale e quantistico tra le creature, che si fa urgente e manifesto al tramonto di un’era.

Quindi “In caso di Apocalisse” raccoglie una rosa di poesie e aforismi che raccontano la fine di diversi mondi. La fine del mondo è sempre relativa a un ecosistema o ad una specie vivente. Ma può essere anche un attacco di panico per chi ne soffre, la scoperta del Bosone di Higgs per la fisica classica, la separazione tra un fungo è un batterio se sei un lichene, è l’ossigeno se sei una creatura anaerobica di 2500 anni fa, è Chernobyl nel 1986, è una capitale da spostare oggi in Indonesia… Ma la fine del mondo non è mai fine della Vita. Eccoci allora alla vera accezione di Apocalisse come “Rivelazione”, apertura del Segreto, che da sempre i filosofi ci ricordano: la sostanza spirituale immutabile, perenne e immortale sotto il mutare delle forme materiali.

Parlo di Apocalissi relative a contesti ambientali e storici, ma anche della serenità imperturbabile se l’apocalisse viene accolta con una concezione filosofica e mistica che si rifà a Bruno, Seneca, Socrate: nessuna fine del mondo è fine della Vita.

Questa raccolta poetica, racconta vissuti ed emozioni personali attraverso il comportamento dei fotoni, dei campi magnetici, di anfibi e insetti, dei fiori di alcune piante, ma non si rifà solo all’“ecologia”, o almeno non è il suo ultimo approdo. Il fatto che gli ecosistemi siano soggetti a ricambio e la vita biologica capace di nuovi adattamenti è solo un primo “strato” del libro, che apre a quella che forse è un’intuizione spirituale: la Vita come essenza pre-cosmica non si può estinguere. Per questo scrivo che la tragedia deve essere uno spauracchio umano, perché nessuna energia può restare in stato di conflitto. Il lieto fine non è una questione di gusti o aspettative, è un’istanza ontologica e metafisica inevitabile.

In caso di Apocalisse, recensione a cura di Maria Giovanna Farina

Giulia Bertotto ha pubblicato il suo primo libro ed è poesia. “In caso di Apocalisse” (ed. EscaMontage) non è una scrittura poetica appresa da altri poeti, ma è la sua personale scrittura poetica filosofica. Con uno stile del tutto personale, originale nei temi trattati e nel modo di “far giocare le parole”, Giulia ha donato ai lettori parole originarie scaturite dall’esperienza e dall’incosciente appartenenza ad un universo che ci contiene ed ha potere su di noi. Non siamo mai identici a noi stessi, siamo in ri-cerca, siamo figli della materia, ma siamo anche altro dalla sola aggregazione di atomi. La Filosofia è maestra? Certamente è madre delle nostre incertezze, ma è anche capace di renderci sempre puri esseri in meraviglia appassionati della nobile cura della nostra origine.

Di seguito una poesia tratta dal libro che mostra il valore della pratica filosofica:

Filosofia in tasca

Filosofia in tasca
Ho un’edizione economica in tasca
in caso di emergenza leggere Seneca
per dubbi dilanianti rivolgersi a Cusano
se non mi sento al sicuro
ho una maniglia antipanico,
si chiama Epicuro.
Per ridimensionare un dolore
somministrare l’infinito di Bruno

il metodo è dialettica, l’arte filosofia pratica!

L’accento di Socrate

Recensione di Biagio Propato

Leggendo i versi della silloge di Giulia Bertotto si nota subito la presenza di sintagmi dilatati in combinazioni lessicali insolite legate da un ritmo stringato e da una valenza semantica non propriamente in sintonia con le scelte della poesia tradizionale, e naturalmente si viene traghettati in campi differenti, che vanno da quello filosofico a quello scientifico e di pari passo a quello dello Spirito, della “creazione”, come lo stesso titolo un po’ ironicamente sintetizza.

Linguaggio interessante, dunque, che costringe ad allargare la visione del lettore attento e preparato a leggere la pagina poetica abituale senza dover necessariamente ricorrere a impennate di arguzia per realizzare un piano di comprensione fuori dalle categorie, eslege, come nel nostro caso.

” Associazione biologica

di un fungo e un batterio

patto simbiotico eterotrofo

mutuo scambio evolutivo

sopravvive solo stando insieme per sempre

Voglio fare lichene con te.”

Le tensioni filosofiche, teologiche, teosofiche, le pulsazioni, le vibrazioni, navigano tranquillamente nei versi di questa scrittura , che galleggia, che va nel profondo, senza mai temere i mulinelli, gli scogli o i richiami ammalianti di Sirene, Naiadi, Driadi e di muse ispiratrici, per affrontare con chiarezza e razionalità, questioni e dogmi religiosi rimasti irrisolti nei millenni, e possibilità di cosmogonie che tengano conto delle immense possibilità dello Pneuma, nel suo” Bereshit”, nel suo “Arche’, senza dicotomie pascenti nel deserto delle idee terrestri, verso un oceano ossimorico, che sovrasti le umani parcellizzazioni, anatomizzazioni.

Ogni cosa ha il suo cominciamento e la sua presenza nel mondo dell’impermanenza, la sua fine e un nuovo cominciamento, nella inevitabile “Entropia” , nell’, “Apocalisse ”

l’universo come il gatto di Schrodinger

è vivo e morto senza contraddizione

Il cosmo è onda e corpuscolo insieme

assoluto e incarnato senza incoerenza

creaturale e divino

Figlio e Padre in Uno.”

Definire è sempre un “limitare” la natura intrinseca delle cose, il suo evolversi, il suo divenire, come la celebre Paronimia “tradurre, tradire” . La cosa sorprendente di questi versi, di questa precipua raccolta è la meraviglia che cresce pagina dopo pagina, esternata davanti a un micro scenario di elementi naturali che si incrociano nelle scozie più impensabili, sempre inseguenti segrete armonie, segrete sinapsi, nel calderone cosmico delle nude azioni e reazioni, delle ineffabili Mutazioni.

Definire, quindi, questa poesia , solo una mera sommatoria di teorie e considerazioni fisiche, chimiche, naturali, ossia scientifiche, da connettere all’universo delle percezioni, delle sensazioni, delle vibrazioni, delle vie insondabili dello Spirito, sarebbe un’analisi melliflua, superficiale, alla quale non sono abituati i lettori seri, i critici creativi.

Una lingua paratattica, si presenta ai nostri occhi, in cui i segni di interpunzione, le appendici di attributi e aggettivi, la quasi assenza di preposizioni, articoli, e i valori di conoscenza fuori rotta, sono vascelli di una navigazione controcorrente nella “ciurma dei versi” che costellano il racconto umano. ” Nihil sub sole novum? …verrebbe da dire…si… ma noi, intimamente sappiamo che lo” Stupore” è sempre una rivelazione, una presenza gnoseologica, un riconoscere ciò che si conosceva senza riconoscerlo.

Yin, yang, basso, alto, bello, brutto, divino, umano, bene, male, vengono azzerati in” Entropia”, nell’”Apocalisse”, superando ogni antilogia, dogma, con la rivelazione dell’” ossimoro” Pantocratore. In modo eliottiano passato e futuro sono la stessa cosa, coincidono.

Maria è Figlia e Madre.

Guarda la particella

è Energia e Materia simultaneamente!

Il fisico dichiara” è onda e corpuscolo”

Il mistico esulta “è uomo e

divino, Uno è Trino!

Uno sguardo attento va rivolto anche alla breve sezione degli aforismi:

Ironici, autoironici, sapienziali, che a volte sfiorano il paradosso, l’iperbole.

Per la loro illuminazione interna, per la loro forza centripeta, per la loro brevità, sembrano dei grappoli sostenuti da un gambo che ha radici nella folgorazione istantanea, come lo Haiku orientale.

” Il quarzo dell’ orologio del

tuo smartphone proviene

dalla sabbia.

È ancora una clessidra.”

” Contratto o no la Via lattea

si espanderà lo stesso.”

“Per le stelle in declino.

Anche se qui governa

Entropia, tutti i buchi neri

sono risorti rovesciati

Che scintillano altrove.”

Come si può facilmente notare, queste espressioni, apparentemente aritmiche, si avvicendano senza cercare grandi spazi compositivi, ma il fulcro, l’essenza della significazione, il ristoro dell’Oasi, e hanno in sé il seme della visione.

Giulia Bertotto non fugge la realtà, ma la affronta in tutte le sue diramazioni e sfaccettature, anche quando il sentiero diventa sempre più duro, più irto e impraticabile, evitando i quotidiani topoi, il pensiero inscatolato,i comportamenti omologati, mirando dritto verso la condizione di Entelechia, verso un Dove che includa Creatore e creazione in perfetta sintonia, in continuo dialogo, Inserendosi nel Tutto senza scalfire Niente, come semplice particella, come un umile lichene, come un estremofilo che succhia la sua linfa per una esistenza stoica, anche da una una sterile mammella.

Basta spostare il proprio punto di vista, saper essere piede dentro e fuori della danza, come scriveva Yeats, saper guardare le cose che ci circondano, guardare noi stessi, da angolazioni diverse, per rendersi conto che la realtà non è la Verità.

” Notizie dallo spazio

si cercano sottoterra.

Un tratto dello stomaco

si chiama digiuno

gatti siamesi nati al freddo

hanno zampe più scure

ma quando mi sogno

Io delle due

quale sono?

I componimenti dedicati a luoghi, o a persone o la poesia Mater (ia), che può essere, Madre, Materia, Matera, non cadono mai nella retorica, propria del genere, ma anche con il mezzo ironico cercano di schiaffeggiare lo stato apparentemente inerte di cose e ricordi appesi all’uncinetto della memoria.

La continua immersione nella natura e il continuo innalzarsi verso lo spirito, creano atmosfere tangibili- intangibili, che saziano la curiosità del lettore che cerca la Bellezza, la Verità, la Conoscenza.

Beauty is truth, truth beauty“, recita il famoso assioma keatsiano che chiude l’irripetibile ” Ode on a Grecian urn”.

L’autrice di “In caso di apocalisse, si interroga, si sorprende, si stupisce, nell’osservare le piccole storie quotidiane, le catastrofi nucleari provocate dall’uomo, che generano ibridi,distruzioni, mostri, tutte le dinamiche incomprensibili, imponderabili, che regolano la vita dell’universo, e trasmette continuamente agli altri quest’ Umo Altro, con delle chiose veramente incredibili, altamente ironiche, degne della poetessa polacca Szymborska, come nella breve poesia “Chernobyl” :

” Un agnello a sei zampe

Un asino a due facce

Una rondine senza coda…

E fa ancora primavera “.

Citazioni a parte, di alcuni grandi poeti, non è facile trovare ascendenze a temperie letterarie, influenze evidenti, che caratterizzano il Fare Poetico di Giulia Bertotto, che in questo suo primo libro già dispone di ottimi mezzi per fare poesia, procedendo sempre” Motu Proprio” nelle opache viscere, attraverso orli di luce, sino a sistemi complessi che necessitano di una sintesi semplice, per essere compresi.

Profondità di pensiero, di meditazione, presenza di branche varie dello scibile umano, icasticita’ compositiva, associazioni di realtà terrene e metafisiche, venature carsiche di ironia e autoironia, scorrono negli ipogei e nelle superfici della silloge, dandole il valore originale che merita. In modo analogo espresso nella” Canzone sulla fine del mondo”, di Czeslaw Milosz, Giulia Bertotto, conclude la sua fresca navigazione nella ciurma dei versi”, così scrivendo nel distico finale che dà il titolo all’opera:

” assisterei cantando alla fine del mondo/

Che la vita è eterna lo stesso“.

YOUng

Intervista a Giulia Bertotto

La poesia è noiosa?Macchè: quella di Giulia Bertotto è ecologica, sostenibile. E imprevedibile. Il suo “In Caso di Apocalisse” parla di licheni, pomodoro& basilico, panneli solari e bici coi freni al carbonio. E ridimensiona le nostre paure con la semplicità. Un piccolo caso editoriale che ha riscosso consensi presso le manifestazioni di settore ed è stato recensito da Maria Giovanna Farina. Prossimo appuntamento il 4 e 5 ottobre al Festival Cinema&Libri -Il Cartoceto.

A pochi mesi dal debutto il tuo libro ha attirato l’attenzione di lettori e addetti ai lavori. Il segreto?

Sono di quelle persone che in pizzeria scrivono sulla tovaglia di carta per non disperdere le emozioni. Non ho mai appuntato frasi pensando a una raccolta, ma attraverso la collaborazione con varie realtà culturali ho destato l’interesse di una piccola casa editrice indipendente, la Escamontage di Iolanda la Carrubba, che ha stampato il mio primo libro.

Cosa c’entrano gli scarabei e il pomodoro col basilico con la poesia?

Dal 5G alle conseguenze di Chernobyl, si sono modernizzate anche le nostre paure. Ogni Apocalisse implica nuovi sistemi di adattamento: oltre a spaventarci possiamo imparare a trovare soluzioni dalla natura. Anche l’arte della sopravvivenza: lo scarabeo del deserto non ha nulla intorno a sé, così raccoglie in volo microscopiche particelle di acqua e si disseta facendole scivolare dal dorso alla bocca. I miei versi sono ispirati, tra l’altro, alla botanica, alla mineralogia, alla zoologia applicate alla quotidianità, della quale fanno parte anche cose semplici e concrete come il pomodoro e basilico: il cibo è testimonianza di vita, di gioia. E di amore.

Se diciamo “ORTICA” cosa ti viene in mente?

Una poesia:

“Irritare,

strategia di sopravvivenza,

Resilienza vitale

Arrossare, difendersi e fiorire

Segreto universale della Vita sulla Terra”

Ortica web

Invito alla lettura a cura di Stefano Scanu

“In caso di Apocalisse” mi ha lasciato un senso di fine del mondo, anche se parla in tanti modi di creazione e vita, anzi ne genera così tanta (di vita fragile) in quelle pagine, che il mio primo pensiero è l’apprensione per la fine. Tutti quegli elementi in equilibrio che svolgono la propria funzione, quei fotoni, le particelle, i siamesi infreddoliti dalle zampe scure, il quarzo degli smartphone e gli stercorari, hanno qualcosa di ieratico e inquietante che tiene l’esistenza sull’orlo dell’apocalisse. Mi è piaciuto il suo sguardo che oscilla in continuazione tra il micro e il macro, tra il suo io e gli anelli di saturno. I versi secchi e mai superflui. L’ho trovato profondamente organico e non una raccolta di parole che ogni tanto vanno a capo. C’è un’unica grande idea e si sente che l’autrice voleva comunicarla.

I fatti capitali, intervista a Giulia Bertotto

di @GuidaLor

“In caso di Apocalisse” di Giulia Bertotto, (edizioni Escamontage 2019) raccoglie 30 poesie e 15 aforismi che raccontano la fine di diversi mondi. Secondo l’autrice, filosofa e giornalista, “la fine del mondo” è sempre relativa a un ecosistema o a una specie vivente. È un attacco di panico per chi ne soffre, è la scoperta del Bosone di Higgs per la fisica classica, è la separazione tra un fungo e un batterio se sei un lichene, è l’ossigeno per una creatura anaerobica 2500 anni fa-

Lo spillover (salto o traboccamento) di un virus da una specie all’altra… Ma la fine del mondo non è mai fine della Vita. Eccoci allora alla vera accezione di Apocalisse, intesa come “rivelazione”, apertura del segreto immortale: la sostanza spirituale immutabile, perenne e immortale sotto il mutare delle forme materiali.

Giulia, quali sono le tue apocalissi?

“Parlo di Apocalissi di contesti ambientali e storici, ad esempio l’incendio di Notre Dame, o di quando mi hanno rubato la bici dei miei sogni: un episodio comune ma che insegna la vacuità delle cose e del possesso. Le apocalissi sono le distruzioni, l’Apocalisse è la serenità imperturbabile se viene accolta con questa concezione filosofica e mistica: nessuna fine del mondo è fine della Vita. Vorrei chiarire che questa raccolta poetica non parla di ecologia, o almeno non è il suo ultimo approdo. Il fatto che gli ecosistemi siano soggetti a ricambio e la vita biologica capace di nuovi adattamenti è solo un primo strato del libro, che apre a quella che è un’intuizione spirituale e un insegnamento universale: la Vita come essenza pre-cosmica non si può estinguere”.

Sull’immagine in copertina cosa puoi dirmi? Perchè il lichene, una creatura eterotrofa che per sopravvivere ha attuato la strategia della simbiosi, con un patto evolutivo tra un fungo e un batterio. 

L’ho scelta perché in questa raccolta metaforizzo molto i vissuti emotivi e psichici attraverso le scienze, la fisica, la zoologia, la botanica, la biologia…questa creatura metforizza la simbiosi dell’amore materno e della passione nell’innamoramento.

E poi perché ha l’aspetto di una forma di vita apocalittica cioè che sembra iniziale o finale, che appare così fluida, ancora in costruzione o in dissoluzione rispetto alla nostra anatomia di mammiferi. Infatti appena la sia guarda non è chiaro se siano cellule che si sdoppiano quando si forma un embrione o se si tratta di un reduce da una catastrofe”.

Le tue poesie sono brevi, come uno scatto di fotografia in qualche modo…

“Nonostante la mia formazione filosofica, che può far pensare ad una scrittura argomentata, le mie poesie sono come un temporale: le sento come dei tuoni, le scrivo in un lampo. Credo che la poesia colga delle essenze, come fa la filosofia. Non esalto infatti l’idea moderna del dubbio filosofico, credo che la filosofia sia più cogliere radici ontologiche”

Perché sarebbero attuali?

“Noi viviamo in un epoca di sentimento millenaristico però secolarizzato, ci sentiamo in colpa per l’ambiente ma in senso ecologico e ambientalistico non con un senso del Creato. Viviamo in un tempo di minaccia apocalittica per l’uomo. Ogni giorno sentiamo dire che l’Amazzonia brucia, la plastica penetra nella catena alimentare e soffoca i mari, i ghiacciai si sciolgono e le temperature in aumento causano migrazioni e faranno scoppiare guerre. E’ qualcosa di spaventoso ma anche affascinante, ne avvertiamo il fermento. Il fermento dell’apocalisse è dato dall’avvicinarsi verso la verità delle cose più che dalla paura della loro fine”.

Lo scrittore e poeta Biagio Propato descrive così la sua poetica “Combinazioni lessicali insolite, non propriamente in sintonia con la poesia tradizionale” mentre la filosofa e scrittrice Maria Giovanna Farina ha detto “Non è una scrittura appresa da altri poeti ma una personale scrittura poetico-filosofica”.

Sui contenuti Propato: “L’autrice di In caso di apocalisse, si interroga, si sorprende, si stupisce, nell’osservare le piccole storie quotidiane, le catastrofi nucleari provocate dall’uomo, che generano ibridi, distruzioni, mostri, tutte le dinamiche incomprensibili, imponderabili, che regolano la vita dell’universo, e trasmette continuamente agli altri questo stupore con delle chiose veramente incredibili, altamente ironiche, degne della poetessa polacca Szymborska, come nella breve poesia ‘Chernobyl’”

Un agnello a sei zampe

un asino a due facce

una rondine senza coda…

e fa ancora primavera

I fatti capitali

Linkopedia:

Ortica Web

Yung

L’accento di Socrate

I FATTI CAPITALI

Cinema&LibriArt2020

Elenco libri della Biblioteca di poesia italiana contemporanea “Guido Gozzano”

Riflessioni libere dopo la lettura di In caso di Apocalisse
di Giuseppe Spinillo

In caso di apocalisse rompere il vetro. Questo è in realtà il senso del fare poesia, l’ultimo elemento di resistenza della vita. E la vita va un attimo oltre. Verso altri tempi e dimensioni. Così non mi stupisce più di tanto trovare nelle parole della prima poesia della raccolta di Giulia Bertotto un per sempre – ” sopravvive stando insieme per sempre” – e nelle ultime la parola eterna – “la vita è eterna lo stesso”. Tutti i versi di “In caso di apocalisse” stanno tra un per sempre e un’eterna. Ma allora la poesia che ci fa in questo mondo, di questo mondo? Questo libro era predisposto “In caso di apocalisse”. Se potevamo avere qualche dubbio all’uscita nel 2019, ora in pieno 2021 non possiamo più ipotizzare il dubbio. Dobbiamo rompere il vetro della poesia e farla sortire, mandandola a contaminarsi col reale. E questo libro è dedicato a “quei batteri che hanno imparato a sintetizzare la plastica”. Tutto è tutto, nello stesso istante, e Giulia usa tutti gli strumenti che ha a disposizione in questo prendere atto dell’ora e del poi, verso cui. A chi si rivolge non so, forse a se stessa, ma poco importa, come poco importa la soluzione finale, che non sta sicuramente in calce al libro. In realtà non vado oltre nel tentare di fare mia una ragione. Occorre entrare nei suoni delle parole, nelle percezioni corporali, nella fisicità del poetare. Niente da spiegare, bisogna solo toccare e farsi toccare. La ragione ha dei varchi che la traversano. Il momento in cui il camaleonte cambia colore, é quello in cui le parole su cui si poggia gli fanno cambiare direzione. La vita, sì, ecco, é la vita, oltre “ogni posticcia frontiera sciolta tra le dita”… 

Roma nostra di Lorenzo Poggi

Roma nostra
Autore: Lorenzo Poggi
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Illustratore: Fernando Della Posta
Edizioni EscaMontage
Anno edizione: 2020
Pagine: 92
EAN: 9788831380072
€ 12,00

Un elemento che cerco di evidenziare con i miei versi è la vena ironica e a volte perfida della poesia romana. È lo stereotipo del romano simpatico e burlone, dalla battuta pronta, di quello che ne ha viste troppe per farsi buggerare, di quello anche perfido e cattivo perché di angherie ne ha subite troppe nei secoli. La raccolta comprende quasi tutte le mie poesie in dialetto scritte nell’arco d’un decennio. È un piccolo contributo ad una materia sempre viva e vivace e non vuole che sia visto come elemento di rottura della tradizione consolidata, ma come elemento di discussione. (dalla nota dell’autore)

Videopoesia “Aria Fritta”